25 aprile 2024

79° anniversario

Il 25 aprile 1945 è una data storica chiamata “Il Giorno dell’Elba” giorno in cui le truppe statunitensi e quelle sovietiche, dopo che avevano sconfitto le ultime resistenze tedesche, si incontrano sul fiume Elba nei pressi di Torgau in Sassonia. L’incontro tra le due superpotenze è il preambolo degli ultimi scontri prima dell’armistizio finale.

Intanto il 28 aprile Mussolini viene fucilato a Giulino di Mezzegra nei pressi di Como.

Il 30 aprile a Berlino Hitler si suicida dentro il suo bunker e nella sera le truppe sovietiche occupano il palazzo del Reichstag.

Finalmente il 7 maggio a Reims in Francia i tedeschi firmano la resa con le truppe angloamericane e per volere di Stalin firmano una seconda resa il giorno dopo.

Ufficialmente l’8 maggio 1945 diviene il “Victory in Europe Day” ovvero il giorno della vittoria in Europa. La guerra sul fronte occidentale è finita.

E in Italia?

Come sappiamo tra il 4 ed il 5 giugno 1944 le truppe USA arrivano a Roma che sarà la prima capitale europea ad essere gestita dagli angloamericani.

Lentamente il fronte risale la penisola dove il conflitto continua fino al 25 aprile quando oramai le truppe alleate sono alle porte di Milano, il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) proclama l’insurrezione generale imponendo la resa alle truppe nazifasciste. Come un domino l’insurrezione si espande nelle zone ancora occupate dell’Italia settentrionale fino al 1° di maggio, ma è al 2 maggio che tutti i combattimenti cessarono completamente, come regolamentato dalla resa di Caserta, dove Germania e Repubblica Sociale Italiana firmarono la resa incondizionata il 29 aprile.

Il 22 aprile 1946 con il Decreto Legislativo Luogotenenziale 22 aprile 1946, n. 185 a firma del principe Umberto di Savoia, viene istituita la nuova celebrazione che riportiamo come recita l’Art. 1

“A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 e’ dichiarato festa nazionale.”

LA DEPORTAZIONE DEI CARABINIERI – 7 OTTOBRE ’43

80° ANNIVERSARIO

La pietra di inciampo in memoria dei carabinieri deportati

Dal 10 settembre Roma è sotto il controllo tedesco, comandante della città è il generale Rainer Stahel, lo resta fino al 30 ottobre quando viene sostituito dal generale Kurt Mälzer.

Al comando della Gestapo (Polizia segreta), SD (intelligence) e SiPo (Polizia di Sicurezza), c’è il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler. Grazie ai suoi agenti sa tutto e conosce l’umore della città, di cui mantene perfetto l’ordine pubblico e di cui il vero dominus.

Con l’Italia in mano nazista viene messa subito in atto la macchina della Judenrazzia ovvero il rastrellamento degli ebrei nelle aree occupate. Napoli appena liberatasi oramai è fuori discussione.

Per Roma invece che ha una numerosa comunità ebraica è in progetto un grande rastrellamento, per il quale è giunto appositamente nella capitale il capitano Theodor Dannecker con la sua squadra di SS Totenkopfverbände, specializzata nella caccia agli ebrei che aveva già operato largamente in Europa.

Kappler è pronto a mettere i suoi uomini in campo ma ha delle riflessioni realistiche che lo frenano.

Ritiene infatti che l’insurrezione napoletana potrebbe essere emulata dai romani. Teme inoltre che i carabinieri possano sabotare il rastrellamento, non sarebbe la prima volta che sotto comando tedesco evitino di collaborare. A Napoli stessa si sono uniti alla guerriglia della popolazione contro l’occupante, come avevano combattuto poche settimane prima a Porta San Paolo. C’è il gesto eroico di Salvo D’acquisto. Carabinieri invisi anche ai fascisti, per l’arresto di Ettore Muti e l’arresto e detenzione dell’ex Duce Benito Mussolini. Per Kappler i carabinieri fedeli al Re e alla patria, possono essere solo d’intralcio e vanno neutralizzati. Per il suo piano trova il supporto del maresciallo Rodolfo Graziani, divenuto nel frattempo Ministro della difesa della Repubblica Sociale. Il 6 ottobre il maresciallo Graziani emette un ordine per il quale entro la notte stessa i carabinieri in servizio nella capitale devono consegnare le armi e rimanere consegnati in caserma. Gli ufficiali dovevano rimanere in consegna presso i propri alloggi.

La mattina del 7 ottobre ottobre ai carabinieri venne fatta la spoliazione delle armi, che un’onta per un militare. L’operazione viene eseguita sotto il controllo dei paracadutisti tedeschi che hanno anche l’ordine di sparare contro chiunque di loro tentasse di evadere. Ma soprattutto a collaborare con i tedeschi ci sono altri italiani, i militi della P.A.I. (Polizia dell’Africa italiana) e le camicie nere del battaglione Mussolini, la loro presenza aggrava la situazione, facendo sentire i carabinieri un profondo tradimento.

Le stime dei carabinieri catturati e di quelli tornati dai campi di concentramento rimane incerta si considera la cifra di 1500 unità. Comunque molti si diedero alla macchia appena saputo dell’ordine riuscendo così a salvarsi dalla deportazione. Ma già dall’8 settembre oltre 4.000 carabinieri si erano dati alla macchia, sottraendosi anche a quella forzata collaborazione istituzionale. Com’era già successo a Napoli i carabinieri liberavano i ragazzi catturati nei rastrellamenti e avvertivano chi doveva essere arrestato. Molti di quelli che si sono dati alla macchia confluiscono poi nel FCRC (Fronte Clandestino Resistenza dei Carabinieri), costituito dal generale Filippo Caruso e operativo non solo a Roma ma anche nell’Italia centrale. Le funzioni riguardano l’attività informativa sui movimenti nemici, e piccole squadre che impiegate operazioni di guerriglia e sabotaggio.

La presenza capillare, il servizio e la tutela che i carabinieri possono dare, viene meno per opera della loro sostituzione con la PAI, portando scompiglio nella città e lasciandola preda dei tedeschi, e delle angherie fasciste.

Le quattro giornate di Napoli – 27-30 settembre 1943

80 anniversario

Con l’8 settembre Napoli viene letteralmente lasciata in mano tedesca dal generale Riccardo Pentimalli comandante del XIX Corpo d’armata posto a difesa del territorio campano, assieme al suo sottoposto, il generale Ettore Deltetto. Entrambi poi abbandonano la città in abiti civili. Vengono accusati di collaborazionismo e di mancata difesa della città, ma successivamente dalle accuse, si passò all’assoluzione e alla riabilitazione dei due ufficiali.

La guida della città è affidata al colonnello Walter Scholl che già tra il tra il 9 e l’11 settembre deve immediatamente sedare i primi disordini dei napoletani, già provati da uno stato di lunga indigenza e che vivono in una città rovinata dai bombardamenti alleati. La città è invasa dalle macerie, molti edifici sono pericolanti e il porto è un cimitero di navi affondate.

Il 12 settembre Il colonnello Scholl annuncia le nuove direttive, dichiarando coprifuoco, stato d’assedio, ed emette un proclama in cui viene ordinato ai napoletani di consegnare le armi. Tutte le abitazioni nella fascia che dal mare rientra per 300 metri, devono essere immediatamente evacuate, tantissimi napoletani dovranno trovar sistemazioni di fortuna in condizioni igieniche estreme, molti trovano rifugio nelle gallerie sotto la città.

La linea dura dei tedeschi non si limita a queste regolamentazioni ma si macchia di crimini di guerra come la fucilazione di un giovane marinaio, l’esecuzione avviene sulla scalinata dell’università Federico II davanti alla popolazione costretta a partecipare. Andrea Mansi, questo è il suo nome per anni rimasto ignoto e che solo recentemente è stato scoperto.

Viene attuata la distruzione sistematica delle infrastrutture, delle fabbriche e dei servizi, per far trovare agli alleati oramai vicinissimi a Napoli, una città inutilizzabile come polo strategico, vista anche la presenza del porto.

Le violenze non si limitano all’esecuzione di Andrea Mansi, si spara contro altri marinai e finanzieri in Piazza Bovio, si maltratta la popolazione in più occasioni. Uno degli episodi chiave dell’insurrezione è legato alla chiamata per tutti gli uomini abili, che devono presentarsi per il servizio di lavoro obbligatorio, con il rischio di essere deportati. Su 30.000 uomini richiesti se ne presentano a malapena 150. Tutta Napoli nasconde gli uomini.

Il 27 settembre i tedeschi infuriati scatenano una caccia all’uomo porta a porta aiutati dai fascisti, rastrellano circa 8.000 uomini. L’opprimente escalation tedesca non è più sopportabile, si scatenano i primi combattimenti. L’escalation continua per il 28 e 29 settembre, il 30 settembre i tedeschi iniziano la ritirata da Napoli, distruggendo tutto e uccidendo tutti quelli che incontravano sulla strada.

Un’insurrezione che può definirsi come il primo esempio di resistenza di tutta la popolazione napoletana d qualsiasi ceto e assieme ai militari. Importantissima la partecipazione femminile, di cui l’emblema è Maddalena Cerasuolo, medaglia di Bronzo al valore civile per le sue azioni. In una certa misura vi è un contributo anche da parte degli scugnizzi e dei femminielli, a dimostrazione della partecipazione corale.

Di fronte ad un esercito ber organizzato ed armato l’insurrezione popolare al netto del coraggio, probabilmente non avrebbe avuto successo, il fattore che aiuta i napoletani a cacciare i tedeschi dalla città è legato al fatto che i tedeschi stessi, come già accennato, sanno che le truppe alleate a giorni saranno a Napoli e avrebbero lasciato la città comunque prima del loro arrivo, senza alcun combattimento. Il merito dell’insurrezione è quello di accelerare i tempi della ritirata tedesca, limitando così i danni inferti alla città e il numero degli uomini rastrellati a circa 8.000.

Le truppe tedesche nella ritirata si stabiliscono momentaneamente sulle linee di fronte a nord di Napoli non senza averla cannoneggiata dalle colline di Capo di Monte, procurando ulteriori feriti e morti. come la Linea Gustav e a Roma stessa oramai città prigioniera.

1 ottobre – Verso le 9:30 le truppe della 5a Armata statunitense entrano nella città senza sparare alcun colpo, dopo una diffidenza iniziale, le riserve si sciolgono e i soldati vengono inondati da un grande entusiasmo da parte della popolazione. Stessa sorte per il loro comandante, il generale Mark Clark che all’arrivo in città viene invitato dall’arcivescovo di Napoli Alessio Ascanesi ad una messa in suo onore. Il rettore dell’università Adolfo Amodeo gli offre la laurea honoris causa, Clark diviene simbolicamente il re della città e realmente il comandante.

Ai fatti di Napoli è dedicato il film di Nanni Loy “Le quattro giornate di Napoli” del 1962. Alla sua uscita il film suscitò scalpore e critiche da diverse parti. In Italia dalla parte degli antifascisti perché vedevano una rappresentazione scarna del loro coinvolgimento. Nella Germania dell’Ovest arrivarono critiche durissime per la rappresentazione della violenza gratuita fatta dai soldati della Wehrmacht, ovvero dell’esercito ordinario che si macchia di crimini di guerra, perché fino a quel momento nell’immaginario si riteneva che questi comportamenti efferati fossero prerogativa esclusiva delle famigerate SS (Schutzstaffel).

8 SETTEMBRE 1943-23

80° ANNIVERSARIO

Sono scoccati gli ottant’anni di quell’8 settembre ’43 giorno cruciale per l’Italia, giorno in cui viene lasciata allo sbando dai vertici di comando aprendo così la strada al caos.

9 settembre 2023 Commemorazione a piazza caduti della Montagnola

Ore 18:30 ora italiana: il generale delle forze angloamericane Eisenhower proclama l’armistizio da Radio Algeri, una mossa che sorprende e costringe il maresciallo Badoglio ad annunciare a sua volta l’armistizio alla popolazione, lo fa frettolosamente circa un’ora dopo ai microfoni dell’EIAR.

Il testo del proclama di Badoglio letto alla radio:

«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.

Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.»

In realtà Badoglio si aspettava l’annuncio alleato per il 12 settembre, ma era una data ipotetica, forse un frainteso nato durante le trattative armistiziali tenutesi a Cassibile in Sicilia. Comunque gli italiani si erano dimostrati sempre mai del tutto chiari, l’attendismo che ne derivava ha portato i vertici alleati a spazientirsi, ecco il perché la forzatura di Eisenhower nel trasmettere il proclama, un chiaro segno di voler spezzare gli indugi italiani e passare all’azione.

L’annuncio dell’armistizio cambia le carte in tavola rovesciando le alleanze. Come uno scherzo del destino è quello che si abbatte sull’Italia che fino all’ultimo cercando l’uscita dalla guerra con il minor numero di danni, ma appunto la linea attendista non ha pagato. In breve il paese va definitivamente sotto scacco di forze occupanti, allargando il conflitto a tutto il territorio nazionale e che vede all’orizzonte una guerra civile che di li a poco si sarebbe accesa, aggravando ulteriormente la situazione. Esattamente l’opposto di quanto sperato.

Sul piano pratico l’annuncio dell’armistizio venne inizialmente recepito dagli italiani come la fine della guerra, molti militari tornarono alle proprie case. Altri si diedero alla macchia e convergendo poi in gruppi che poi diedero vita alla resistenza militare clandestina. Comunque tutte decisioni ed iniziative personali, grazie allo sbando derivato dalla mancanza di ordini e coordinamento.

Tutti a casa

C’è un film che ad oggi è ancora l’unico che tratta questa vicenda, ed è “Tutti a casa” diretto da Luigi Comencini, che attraverso il personaggio del tenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi) rappresenta quei militari del Regio Esercito che vissero quei momenti caotici. Il bel film equilibra alla vena neorealista, il dramma e la commedia, viene girato nel 1960, quindici anni dopo la fine della guerra, una memoria ancora viva, anche nei delicati equilibri politici delle diverse fazioni. E’ l’anno in cui cade il governo Tambroni e l’anno in cui avviene la rivolta di Genova durante il sesto congresso dell’MSI. Il clima pungente probabilmente fece accendere la spia di controllo alla censura verso questo film che comunque per la sua tematica e le pungenti battute verso il re e il maresciallo Badoglio, dopo le primissime proiezioni viene ritirato e rimesso in circolo decurtato da quelle scene considerate inopportune. Oggi si può trovare nuovamente nella sua versione completa, senza i tagli della censura.

Rimane emblematica la scena della telefonata che fa il tenente Innocenzi al proprio comando chiede al colonnello delucidazioni.

  • Ten. Innocenzi:“Signor Colonnello! Tenente Innocenzi, accade una cosa incredibile! I tedeschi si sono alleati con gli americani!”
  • Parla il colonnello
  • Ten. Innocenzi: “No?! Allora è tutto finito signor colonnello! (si sente esplosione fuori) Ma non potreste avvertire i tedeschi? Ci stanno continuando a sparare!”
  • Parla il colonnello
  • Ten. Innocenzi: “Mi scusi signor Colonnello io ero allo oscuro di tutto, quali sono gli ordini?!”
  • Colonnello: “Non sono riuscito a mettermi in contatto con il Corpo di Armata, ho mandato un ufficiale. Comunque se attaccano dobbiamo difenderci. Dia man forte al tenente Di Fazio.”
  • Ten. Innocenzi: “Si signor colonnello. Loro hanno i carri armati ma noi ci proveremo. La terrò informata signor colonnello.

Interrompe un soldato parlando agitato:

  • “Signor tenente i tedeschi hanno fatto fuori la nostra postazione. I nostri soldati hanno smesso di sparare. Che cosa dobbiamo fare?!”
  • Ten. Innocenzi: “La postazione è stata annientata, tutto è finito..”
  • Colonnello: “Rientrate subito all’accantonamento.” Il colonnello viene interrotto da un suo sottoposto: “Signor colonnello!” indicando la finestra
  • Colonnello: “Aspetti un momento” rivolto al tenente Innocenzi, si alza e va verso la finestra a vedere. Sul piazzale arrivano truppe tedesche motorizzate che sparano ai soldati italiani che stanno scappando, ma poi vista l’impossibilità della fuga si arrendono alle sempre più numerose truppe tedesche in arrivo. Il colonnello, torna al telefono.
  • Colonnello: “No, non rientrate. Tenga uniti gli uomini e raggiungete il 4° Raggruppamento a San Tonino.”
  • Nell’ufficio del colonnello si sente una voce in tedesco fuori campo, tutti guardano verso la porta, capiscono di essere stati catturati.

In questa manciata di minuti si delinea il destino del tenente Innocenzi e i suoi, che salvato dal colonnello, che disorientato incomincia il cammino verso casa.

Con l’8 settembre non si conclude niente ma anzi inizia l’assedio all’Italia con a sud le truppe alleate sotto Napoli e dalla città partenopea in poi troviamo ben disposte le truppe tedesche che permetteranno ai nemici al massimo una lenta e sofferta risalita dello stivale.

L’11 settembre Roma cade in mano tedesca.

Maggio 44 – “Operazione Diadem” L’offensiva finale

Le continue azioni veloci dalla resistenza italiana in combinazione con gli alleati, sono oramai una conclamata spina nel fianco per i tedeschi, che sfiancati sono costretti a distaccare in emergenza ben sei divisioni per arginare il fenomeno. In questo contesto rientra anche l’attentato di via Rasella compiuto dai GAP che spacca il CLN. Infatti l’azione gappista amplifica la diffidenza tedesca nei confronti della città, non ostante la crudele rappresaglia. Ai militari di pattuglia viene ordinato di avere il colpo in canna. Proprio lo stesso giorno dell’attentato a via Rasella si chiude la terza battaglia di Cassino, dove gli alleati vengono sconfitti tatticamente dalle truppe della Wehrmacht , grazie anche all’impervia geografia dove era stata posata la Linea Gustav. Anche la distruzione della preziosa abbazia di Montecassino in febbraio era diventato un nuovo baluardo di difesa, le macerie infatti permettevano ai soldati tedeschi di creare nascondigli perfetti per attaccare ferocemente.

La pausa dei combattimenti portò anche da parte dei soldati a fare razzie, tragicamente note quelle compiute dai goumier francesi, note come le “marocchinate.

Aprile viene utilizzato per riorganizzare le truppe di entrambi gli schieramenti, il generale Alexander, comandante in capo delle forze alleate, riesce finalmente ad avere un elevato numero di rinforzi per quello che poi sarà l’attacco finale: ovvero l’Operazione Diadem.

Cassino 11 maggio ore 23:00 la 4a battaglia

Tutto è pronto per avviare l’Operazione Diadem. Per non far insospettire i tedeschi, l’artiglieria alleata per tutta la sera cannoneggia verso il fronte nemico, oramai era una specie di appntamento serale al quale rispondono i tedeschi. Il fuoco termina verso le 22:00.

Improvvisamente, alle ore 23:00 in punto, l’artiglieria della 5ª Armata USA apre il fuoco contemporaneamente, martellando le postazioni tedesche per preparare l’attacco di fanteria. Ha inizio l’operazione Diadem.

Benito Mussolini – Dall’arresto alla liberazione

Roma è in subbuglio girano voci strane, l’atmosfera è carica, qualcosa sta per succedere. La sera del 24 luglio ’43 l’afa domina la città, il Gran Consiglio del Fascismo si riunisce nella sala del Pappagallo a Palazzo Venezia. Le facce dei gerarchi non sono serene, alcune torve e sospettose. Farinacci, Scorza, Bottai e soprattutto Ciano e Grandi, sono presenti. Un duce pensieroso apre la seduta. E come sua volontà non vi sarà verbale. La riunione si allunga e finalmente nella torrida notte l’ordine di Grandi viene approvato intorno alle 2.30 con 19 voti a favore, 7 contrari e un astenuto. Così Benito Mussolini viene destituito da capo del governo. Gli altri gerarchi, specialmente quelli che non sono filotedeschi come appunto Grandi, sperano di continuare con un nuovo incarico governativo dato dal re e con un fascismo più moderato e pronto a lasciare l’alleato tedesco ed uscire dalla guerra quanto prima.

Mussolini che forse si era fatto destituire apposta, nel pomeriggio delle 25 si reca a villa Ada Savoia dal re per dare le dimissioni ufficiali. Il breve colloquio nello studio del re, viene seguito da dietro una porta socchiusa dal generale Paolo Puntoni, unico testimone oculare, pronto ad intervenire nel caso servisse. Al congedo Mussolini si riavvia verso l’automobile con la quale era arrivato, ma un piano per arrestarlo viene attuato con un escamotage. Nei fatti all’uscita Mussolini con sua sorpresa, viene avvicinato ed invitato dai capitani dei carabinieri Vignieri e Aversa che con la seguente frase: «Duce, in nome di Sua Maestà il Re, vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze della folla» lo invitano a salire su di un’autoambulanza per uscire dalla villa in incognito. Con questo espediente inizia così la sua prigionia itinerante che durerà 47giorni.

Il 27 luglio alle ore 22:00 Mussolini arriva a Gaeta, al molo Ciano del porto lo attende l’ammiraglio Maugeri che lo accompagna a bordo della corvetta Persefone. La destinazione originaria è l’isola di Ventotene che viene scartata perché già sede del carcere di confinamento e con la sua presenza si temono possibili disordini.

Si fa rotta verso l’isola di Ponza, dove Mussolini viene ospitato per una decina di giorni in una casa in località Santa Maria, isolata dal resto dell’abitato ed essendo solo accessibile dal Tunnel di Sant’Antonio, risultapiù facilmente controllabile dalla sorveglianza di carabinieri e guardie civiche.

Tuttavia la sua permanenza a Ponza si limita a una decina di giorni, per cautela viene trasferito in altra località. Nella notte tra il 6 ed 7 viene imbarcato sul cacciatorpediniere Pantera (originariamente Panthère, nave francese recuperata e rimessa in servizio). L’8 agosto alle ore 14:20, il caccia arriva all’isola della Maddalena in Sardegna, in un mare mosso e ventoso, getta le ancore nella rada davanti il porto davanti alla vecchia batteria Padule, a un chilometro dal centro abitato. Viene portato presso l’isolata villa Webber per proseguire la sua detenzione.

Gli isolani sono in fermento, l’istallazione frenetica di una linea telefonica diretta tra l’ufficio dell’ammiraglio Brivonesi al Comando Marina e la disabitata e misteriosa villa Webber, era per tutti un’anomalia, qualcosa di importante stava per accadere. Giovanni Conti, il tecnico che ha installato la linea nella villa, si trova davanti proprio Benito Mussolini, rimanendo di sasso.

Lo stato di salute e di morale di Mussolini sono da tempo compromessi ma sull’isola della Maddalena si apre uno spiraglio per una possibile fuga. Il medico Aldo Chirico podestà della cittadina fa arrivare una lettera a Mussolini, nascondendola tra i panni che abitualmente una lavandaia è incaricata di cambiare. Mussolini risponde chiedendo informazioni sulla situazione dopo il 25 luglio. Il contatto epistolare con il dottor Chirico prosegue, lo scambio di informazioni porta a credere ad un piano per la liberazione di Mussolini con un manipolo di fascisti fedeli. Una possibilità ritenuta sempre aleatoria sino al 2003 quando un documento rivela che un piano di fuga effettivamente era stato studiato ma poi non più messo in pratica.
Intanto Hitler incarica il capitano delle Waffen SS Otto Skorzeny di andare in Italia e supportare il generale Kurt Student nella preparazione dell’Operazione Quercia, ovvero la liberazione di Mussolini. Fondamentale il supporto dell’intelligence comandata da Kappler, le ramificazioni di ascolto e spionaggio, infatti riaccolgono informazioni preziose. Gli uomini di Kappler riescono a scoprire che Mussolini è a Ponza e che poi viene portato via. Le nuove informazioni dicono che è detenuto alla Maddalena, entra in azione Skorzeny con i suoi uomini per sincerarsi della presenza di Mussolini, facendo diversi sopralluoghi in uno dei quali viene anche riconosciuto l’ex duce. Skorzeny effettua anche un sopralluogo aereo, ma dopo aver scattato le foto è costretto ad un ammaraggio di fortuna, recuperato da una nave italiana torna poi in Germania, informando personalmente Hitler su quanto ha visto, convincendolo a spostare le attenzioni sull’isola della Maddalena anziché l’isola d’Elba, nascondiglio suggerito dall’ammiraglio Canaris che però sta facendo il doppio gioco e volontariamente tenta di depistare la ricerca. Canaris, scoperto verrà torturato e stranglato.

Skorzeny prepara il piani di liberazione, tutto è pronto ma nell’ultima ricognizione del 27 agosto, il giorno prima dell’attacco, gli uomini di Skorzeny, notando che le guardie hanno un certo lassismo, capiscono che Mussolini non è più detenuto a Villa Webber. Infatti solo qualche ora prima con un idrovolante CANT Z506 della Regia Aeronautica avente le insegne della Croce Rossa, Mussolini viene portato via. L’idrovolante ammara al lago di Bracciano, dove via terra, nuovamente con un’ambulanza viene portato alla destinazione finale: l’albergo Duca degli Abruzzi a Campo Imperatore. Tutti questi spostamenti sono cautelativi, infatti il re e il nuovo capo del governo, il maresciallo Badoglio, vogliono evitare che tedeschi o fascisti possano in qualche modo tentare una sortita per liberare Mussolini.

Skorzeny si affida nuovamente a Kappler per ottenere le informazioni segrete sul nuovo luogo di detenzione di Mussolini. Kappler e l’efficienza del suo ufficio riescono a carpire da un messaggio cifrato quale sia la nuova prigione segreta.

Intanto un nuovo importante fatto cambia radicalmente lo scenario di guerra complicando così l’Operazione Quercia: l’armistizio dell’8 settembre ’43. Ora l’Italia non solo non è più alleata della Germania ma è divenuta nemica alleandosi con gli angloamericani.

Scoperta la nuova ubicazione, il commando di Fallschirmjäger-Division (paracadutisti), agli ordini del maggiore Mors elaborano un nuovo piano per arrivare a l’inaccessibile pianoro di Campo Imperatore. L’attacco prevede due azioni, una terrestre per bloccare qualsiasi accesso al Gran Sasso e un attacco dal cielo con degli alianti che non avendo motore sarebbero arrivati silenziosamente sull’obiettivo, sfruttando al massimo l’effetto sorpresa.

Il 12 settembre alle ore 12:30 gli alianti partono alla volta di Campo imperatore, atterrati l’effetto sorpresa funziona, gli italiani rimangono disorientati. Anche perché Skorzeny ha con se in ostaggio il generale del Corpo degli agenti di polizia Fernando Soleti. Mussolini, accortosi che sta succedendo qualcosa si affaccia alla finestra, dicendo: “Non sparate, non vedete che è tutto in ordine? C’è un generale italiano!”.

Non viene sparato un colpo.

Mussolini è ora in mano tedesca, tutto viene documentato con foto e filmini, il capitano Skorzeny si mette in bella mostra oscurando tutto il lavoro del comandante dell’operazione, il maggiore Mors.
Mussolini frastornato viene fatto salire su un Fieseler Fi 156 un piccolo aereo da ricognizione, che a stento riesce a decollare con rotta verso l’aerporto di Pratica di Mare e da li con un nuovo volo viene portato a Vienna.

Non sono mancati interrogativi sul perché non si sia sparato o come la mancanza proprio in quei giorni di mitragliatrici difensive. A tutto ciò una puntata de “La grande storia” dedicata alla rocambolesca Operazione Quercia, nel link qui in calce prova a dare lumi.

https://www.raiplay.it/video/2013/08/Liberate-il-Duce—La-Grande-Storia-3d4ec668-a124-457e-a2d8-e8869fb5fb07.html

Addio a Mario Fiorentini

Per chi non lo conoscesse Mario Fiorentini è stato uno dei partigiani pluridecorato che ha combattuto nelle file dei GAP romani, ovvero i Gruppi di Azione Patriottica, piccole formazioni caratterizzate da attacchi fulminei.
I GAP venivano coordinati da PCI uno die partiti che facevano parte del Comitato di Liberazione Nazionale.
La sua prima apparizione sul campo di battaglia è successiva all’8 settembre ’43, a Porta San Paolo, dove molti romani e italiani tentarono una disperata resistenza all’avanzata dei tedeschi, intenti a voler occupare la città. Sono anche i giorni della nascita della resistenza romana con il CLN e delle prime formazioni partigiane. Entrerà nei gappisti e con lui altri giovani ardimentosi, quali: Sasà Bentivegna, Carla Capponi e Lucia Ottobrini che poi divverrà sua moglie.

Un fraterno saluto

Qui il comunicato dell’ANPI

http://www.anpiroma.org/2022/08/il-comandante-partigiano-mario.html

Il colonnello Giuseppe Montezemolo

“guerra al tedesco et tenuta ordine pubblico”

Il comandante della polizia tedesca sulla piazza di Roma, il colonnello Kappler non crede nella pericolosità della resistenza romana, piuttosto le sue attenzioni sono rivolte alla resistenza militare che deve essere neutralizzata il prima possibile. In cima alla lista dei ricercati c’è il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Il colonnello Montezemolo è un ufficiale brillante e capace, lontano dall’ideologia fascista che con l’8 settembre si è trovato di fronte ad un nuovo ed importante destino, recatosi al Ministero della Guerra, viene incaricato dal generale Calvi di Bergolo di dirigere l’Ufficio affari civili di Roma. 15 giorni dopo si da alla macchia e si attiva sotto il falso nome di: ingegner Giacomo Cateratto, organizza il primo nucleo di resistenza militare a Roma. Ne diviene il capo e fa da ponte di riferimento con il Comando Alleato e con il con il governo Badoglio dal quale dipende e da cui riceve ordini per: “organizzare segretamente la forza per assumere al momento opportuno l’ordine pubblico in Roma a favore del governo di Sua Maestà il Re”.

Colonnello Giuseppe Montezemolo

Avvia una collaborazione con il CLN, in particolare con l’ala sinistra che è la più attiva e meglio armata, a detta di alcuni storici questo è un modo per controllarne l’azione affinché il governo torni così come era stato lasciato nelle mani della famiglia regnante.

L’attività del Fronte Militare Clandestino viene strutturata da Montezemolo per evitare rappresaglie da parte nazista sui civili, banditi i combattimenti diretti, si sviluppa più un lavoro di intelligence, di di ordine pubblico e di fornitura armi ed esplosivi al CLN.

Con le persecuzioni naziste contro gli ebrei nella capitale, Montezemolo fornisce documenti falsi s molti di quegli ebrei sfuggiti al sabato nero romano, per farli scappare dalla città.

Montezemolo ha una fisionomia che non lo aiuta, infatti è un uomo molto alto ed asciutto con orecchie grandi, caratteristiche che lo rendono facilmente riconoscibile. Vive in clandestinità, cambiando spesso il luogo di rifugio, perché sa che i tedeschi sono sulle sue tracce e hanno messo una taglia su di lui. Anche Ha contatti solo con pochi fidatissimi uomini e vive separato dalla famiglia, incontrando in incognito per qualche breve passeggiata esclusivamente la moglie.

25 gennaio l’arresto

Esistono diverse ipotesi sul suo arresto, l’ultima riguarda la recente scoperta di un carteggio tra l’avvocato Tullio Mango e il suo assistito Herbert Kappler, in cui Enzo Selvaggi, un esponente della resistenza monarchica, arrestato, viene interrogato dalle SS per quattro ore, stremato rivela che il giorno successivo Montezemolo sarebbe andato a pranzo a casa di un amico dove ci sarà una riunione.

I tedeschi si appostano in attesa vicino al portone di Via Pietro Tacchini, 7, zona Parioli. All’uscita dal portone, Montezemolo, assieme al diplomatico Filippo De Grenet, sorpresi dalla vista dei tedeschi, vengono catturati e portati all’Aussenkommando di Via Tasso, dove vengono sottoposti ad indicibili torture ma i due ufficiali resistono coraggiosamente. Dopo due mesi di calvari finiscono trucidati, alle Fosse Ardeatine


In Via Giovanni Battista Vico dove c’era l’abitazione di Montezemolo è stata posta una targa in sua memoria.

International Holocaust Remembrance Day

Il giorno della Memoria

Con il manifesto della razza del 1938 la comunità ebraica italiana ebbe un sussulto, di colpo infatti erano diventati “rei” semplicemente perché erano loro stessi, proprio quelli del giorno prima. Quanto era stato fatto nel Risorgimento con l’Unità d’Italia da Vittorio Emanuele II per uniformate tutti i cittadini italiani, venne vanificato.

Nel 1937 Mussolini per nascondere la piaga del meticciato diffusa nelle colonie africane e per risollevare il consenso al regime, gioca la carta del razzismo, sia verso i coloni che verso gli ebrei, verso questi ultimi è un volta faccia, visto che mai prima si era esposto contro, d’altronde molti ebrei avevano la tessera fascista e vivevano la vita quotidiana come tutti gli altri, italiani a tutti gli effetti dunque. La comunità italiana conta circa 50.000 ebrei, un numero sacrificabile per rafforzare il mito dell’uomo fascista, guerriero di razza pura, sotto la regia del regime, progressivamente giornalisti ed intellettuali con libri ed articoli ad hoc instillano la scintilla antisemita nella popolazione. Ulteriore strumento d’informazione e persuasione è la rivista «Difesa della razza» che aiuta nel martellamento in chiave ariana e antisemita.

Il 14 luglio sul «Il Giornale d’Italia» viene messo il manifesto della razza, la maccihna propagandistica comincia a muoversi, la scelta anti ebraica promossa dal regime però non viene sempre accolta, in tutta Italia si manifestano segnali di stupore e contrarietà. A fine agosto a Roma, città tradizionalmente cosmopolita grazie agli scambi commerciali nell’epoca del Mediterraneo antico, aveva già rapporti millenari con gli ebrei. E nel 1938 una frase come: «la grande maggioranza non comprende né razzismo né antisemitismo: il romano, fedele al suo vecchio motto, se ne frega “ce so’ tanti ebrei più galantuomini de li cristiani; un c’avevano antro da pensà”» era lo specchio della popolazione.

La promulgazione delle leggi razziali apre ad una nuova fase: quella del censimento e dell’epurazione, così a cominciare dalle figure nei piani alti del fascismo, dei ministeri e poi a scendere. Tutti gli ebrei con una scusa o un’altra vengono allontanati dai loro posti di lavoro.

Il 2 settembre 1938 Bottai presenta al Consiglio dei ministri il Provvedimento per la difesa della razza nella scuola italiana, docenti ed alunni ebrei vengono epurati, i bambini ebrei non riescono a capire perché vengono separati dai loro simili e ne rimangono shoccati. Gli altri bambini mostrano invece differenza. Gradualmente la morsa antisemita pompata dalla stampa spinge gli altri italiani a sentirsi ariani e a provare ripugnanza per le persone di origine ebrea. Invidia a speculazione ne approfittano per scalzare figure di prestigio e per isolare il loro commercio. Di contro alla scelta ariana, si muovono lamentele in cui ci si preoccupa spesso di scimmiottare il tedesco, mai comunque la contrarietà sfocia in fatti preoccupanti per il regime.

Nel ’39 l’antisemitismo diviene diffuso, pervasivo, va sottolineato che gli ebrei vengono esclusi dall’ambito militare, una mossa che durante il conflitto non farà altro che aggravare la posizione anti ebraica. Intanto capitano fatti di violenza contro gli ebrei, verso i quali però non manca anche da parte di qualcuno solidarietà ma è sempre una minoranza. La critica alla leggi razziali dimostrata da papa Pio XI, si affievolisce con Pio XII che gli succede il 12 marzo.

Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del ’40, gli ebrei vengono accusati di essere sabotatori, i fascisti chiedono di rinchiudere tutti gli israeliti in campi di concentramento, d’altronde gli ebrei italiani non avendo la chiamata alle armi perché epurati, sono liberi di svolgere le loro professioni, generando invidia e maldicenze per la loro posizione privilegiata. Viene poi attuato il confinamento per quelli ritenuti più pericolosi e sovversivi verso il regime fascista.

Il 6 maggio 1942 viene istituito il lavoro obbligatorio per gli ebrei tra i 18 e i 55 anni, una nuova misura razziale più propagandistica che altro, che serve ad ammortizzare la visione degli ebrei come dei “privilegiati”.

Con la caduta del fascismo il 25 luglio del ’43, si pensa finalmente ad una liberalizzazione, ma il governo Badoglio “dimentica” la questione ebraica, possibile che si sia fatto nulla per non insospettire i tedeschi, visto che l’Italia già da tempo era segretamente impegnata ad una soluzione di pace con gli alleati per uscire dalla guerra.

Ecco dunque che dopo l’8 settembre mezza Italia è in mano tedesca, se durante la guerra Mussolini e i gerarchi, sapendo della “soluzione finale”, avevano tenuto una linea di protezione verso gli ebrei italiani, specie quelli legati all’economia del paese, dando in cambio ai tedeschi gli ebrei non italiani, ora non vi era più alcun filtro, alla persecuzione mortale che i nazisti stavano per applicare in Italia, prima a Trieste e poi a Roma.

La shoah romana in breve
Dall’11 settembre del ’43 Roma è in mano tedesca nel giro di pochi giorni arrivano al capo della polizia tedesca, il colonnello Herbert Kappler, dispacci riguardo la liquidazione delle ebrei romani. Kappler in realtà è riluttante, non vorrebbe, ma non per motivi umanitari. Ha piuttosto paura che un rastrellamento in grande stile degli ebrei possa accendere una rivolta dei romani, poi i fatti di Napoli dove la popolazione è riuscita a cacciare l’esercito in quel momento è un esempio fresco. Non ultime le possibili reazioni del Vaticano, Roma non è una città come le altre.

Ad occuparsi dell’operazione viene inviato a Roma uno specialista il capitano Dannecker che con i suoi uomini coordinerà l’operazione e Kappler con i suoi sarà di supporto.Preventivamente con l’aiuto dei fascisti, il 6 ottobre i tedeschi effettuano un rastrellamento dei carabinieri reali romani, un’operazione preventiva perché ritenevano che dei carabinieri, fedeli alla corona, non ci si potesse fidare, avrebbero potuto essere d’intralcio alla judenaktion romana.
In effetti molti carabinieri, capito che con la consegna delle armi ed il trasferimento, sarebbero stati catturati, riescono a scappare dandosi alla macchia, molti di loro poi rientreranno nella resistenza militare.

Sabato 16 ottobre alle prime luci dell’alba i quartiere ebraico viene circondato dai militari tedeschi, la razzia si svolge in tutta la città, vengono prese 1.259 persone e portate presso il Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara 82, dove viene fatta una prima selezione, infatti le persone che partiranno con un convoglio il 18 ottobre per il campo di concentramento di Auschwitz, sono 1007, di esse sopravviveranno 15 uomini e una donna.

Nel 1943 si stima che a Roma vivevano circa 13.500 ebrei, su cui ne vengono deportati oltre 2.000, dai campi di concentramento ne torneranno meno di un centinaio. Nella tragedia, l’operazione era stata un fallimento che compiacque l’efficiente e determinato Kappler, che voleva mantenere un basso profilo per non avere disordini in città. Le persecuzioni agli ebrei romani continueranno anche dopo quel sabato nero durante quei nove mesi, ma non ci fu più mai a Roma un’operazione di quella portata.

Molti ebrei scamparono alla cattura grazie all’aiuto della popolazione, che con pronta solidarietà rischiò per se stessa nascondendo gli ebrei romani. A differenza, rimangono ancora ombre sull’operato di Pio XII e della Chiesa, che fece aprire le porte dei conventi e dei monasteri agli ebrei ma i detrattori indicano i suoi silenzi soprattutto per il treno della morte, per cui molti auspicavano un suo gesto. La vicenda dei silenzi è tutt’oggi oggetto di studio da parte degli storici, Papa Francesco a riguardo a fatto desecretare documenti riguardo quel periodo, benché sia uscito un saggio al riguardo, la pandemia ha fermato tutto ed è ancora presto per avere una conoscenza più completa dei fatti.

Oggi 27 gennaio è l’ “International Holocaust Remembrance Day” per noi meglio conosciuto come “Il giorno della Memoria”, noi di Coprifuoco abbiamo voluto ricordarlo con la vicenda italiana e romana.

La Campagna d’Italia: da Salerno alle porte di Cassino

L’Operazione Avalanche è il grande sbarco anfibio di Salerno che avviene il 9 settembre ’43. Il giorno dopo l’armistizio. Si tratta di quello sbarco che viene preannunciato senza dettagli sensibili al generale Castellano nei giorni delle trattative per l’armistizio a Cassibile in Sicilia.
Già da giorni prima dell’8 settembre le navi alleate cannoneggiavano le coste salernitane per preparare l’imminente sbarco anglo-americano. Oltre 460 navi trasportano 170.000 soldati ignari dell’armistizio con l’Italia, ne vengono a conoscenza a bordo quando nel pomeriggio dell’8, il generale Eisenhower comunica da Radio Algeri alle 17:30 (ora locale), che l’Italia ha firmato l’armistizio con le forze alleate. I soldati vengono presi dall’entusiasmo immaginando che la popolazione italiane li avrebbe accolti. Alle ore 3:30 del 9 settembre inizia lo sbarco, i primi 55.000 uomini occupano il golfo di Salerno.

A comandare le truppe tedesche in Italia è il feldmaresciallo Kesserling, abile comandante che era riuscito ad evacuare la Sicilia senza perdite significative in uomini, Mezzi e rifornimenti.

Il feldmaresciallo Albert Kesselring

Il comandante tedesco è una persona di natura ottimista e di corrente filo-italiana, crede infatti che l’Italia avrebbe continuato il conflitto a fianco della Germania, specie in difesa del suolo natio. L’OKW (Alto comando delle forze armate tedesche), non è dello stesso parere, già da tempo voci insistenti fanno temere con concretezza uno sfilamento italiano, per questo pensava anche ad una possibile sostituzione di Kesselring.

A Salerno la resistenza tedesca è debole e gli alleati conquistano terreno facilmente. Questo perché Kesserling, ipotizza un possibile sbarco vicino Roma e cautamente riserva delle armate nelle vicinanze della capitale, pronte ad intervenire. La sera stessa dell’armistizio, scopre che le difese italiane sono inspiegabilmente deboli e che può provare a conquistare Roma. In tre giorni si risolvono gli scontri, costringendo gli italiani a firmano l’armistizio, l’11 settembre Roma è occupata dai tedeschi. Con la città sotto controllo, Kesselring può inviare le truppe fresche a Salerno, il 12 una potentissima controffensiva tedesca quasi ricaccia i mare le truppe alleate, il generale Clark è preoccupato per questo rovesciamento di fronte, pensa al peggio. Solo l’intervento della marina e dell’aviazione scongiurano la ritirata, i pesanti bombardamenti fanno ripiegare definitivamente le truppe tedesche verso nord quando è il 16 settembre.

Da Berlino vennero gli ordini di ritirare le truppe nel nord Italia e ricongiungerle con quelle di Rommel ma Kesselring era contrario. Il 30 settembre ha un incontro al vertice con Rommel e Hitler, ai quali espone il suo piano, ovvero rallentare il più possibile l’avanzata alleata con delle linee difensive che sfruttano la morfologia del territorio italiano, promettendo di riuscire a bloccare le truppe alleate per almeno sei o otto mesi e per impedire che i territori del sud d’Italia e Roma, potessero divenire basi per i bombardieri che da quelle aree avevano l’autonomia per facilmente in Germania.

Il piano non piace a Rommel ma convince il führer, si parte immediatamente Il piano non piace a Rommel ma convince il führer, si parte immediatamente con la costruzione di di due linee difensive, che entrambe corrono trasversalmente da est a ovest: la Linea Gustav all’altezza di Cassino e più a nord la Linea Gotica che ben organizzate con delle postazioni difensive per cannoni e mitragliatrici, possono difendersi efficacemente con numeri relativamente bassi di soldati. Con l’inverno e la stagione delle piogge alle porte, il terreno può divenire ancora più impervio, Kesselring decide di implementare le misure difensive a sud della Linea Gustav per rendere la risalita alleata ancora più difficile. Vengono così allestite altre linee difensive che hanno una struttura meno articolata ma ottimizzate al meglio dal reparto del genio militare. Da sud la prima linea è quella del Volturno, a 15km di distanza corre parallela la Linea Barbara. Segue la Linea Bernhardt che è una linea che parte e si ricongiunge alla Gustav con una forma arcuata verso il fronte per proteggere la valle del Liri.

Schema delle linee difensive tedesche nell’Italia centro-meridionale (fonte Wikipedia)

La battaglia sulla Linea del Volturno
La Linea del Volturno detta anche “invernale”(chiamata dai tedeschi Viktor-Linie), prende il nome dal fiume omonimo, ne segue il tragitto nella parte finale fino all’estuario nel Tirreno, una barriera naturale che i tedeschi si preoccupano di rinforzare con filo spinato sulla riva e con postazioni di combattimento.

La Linea del Volturno diviene decisiva per i tedeschi quanto per gli alleati che necessitavano di avere porti navali come quello di Napoli che viene occupata dagli alleati il 10 ottobre e degli aeroporti, utilizzabili dall’USAAF (United States Army Air Forces), come campi d’aviazione tattica dalla Twelfth Air Force e per bombardamenti strategici dalla Fifteenth Air Force, attaccando obiettivi industriali ed economici nemici nei Balcani; Europa dell’Est; Austria e Germania. In Italia isole incluse vengono usati 79 basi aeree, tutti poi chiuse alla fine del 1945.

Termoli: Operazione Devon
Qualche giorno prima che le truppe USA entrassero a Napoli, l’8ª Armata britannica con contingenti del Commonwealth e guidata dal famoso generale Montgomery, attua l’Operazione Devon per l’assalto alla Linea del Volturno nel settore Adriatico, sbarcando nella notte a Termoli.
La pressione britannica, spinge Kesselring ad inviare la 16ª Panzer Division indebolendo così il lato occidentale della Gustav.
Le sorti dei combattimenti volgono inizialmente a favore dei tedeschi ma il genio britannico riesce a creare il guado con l’ausilio del ponte Bailey, così chiamato dal nome dell’ingegnere. Su tratta di un ponte composto da moduli prefabbricati, leggero da trasportare, facile da montare e abbastanza resistente da poter far passare carri armati.
Infatti il 5 ottobre i mezzi corazzati inglesi e canadesi attraversano il fiume Biferno, riuscendo la sera a capovolgere le sorti della battaglia. I tedeschi infatti arretrano verso la Linea Barbara.

Il guado del Volturno e la presa di Caiazzo
Il settore occidentale è affidato alla Vª armata dell’esercito USA, comandata dal generale Mark Clark che il 10 ottobre occupa Napoli già liberata dai tedeschi, perché scacciati dalla popolazione.

Lo scopo di Clark è superare il prima possibile il Volturno per difendere meglio i territori conquistati e l’importante porto di Napoli. Ma sa anche che i tedeschi stanno ancora ultimando la Linea del Volturno, arrivarvi al più presto potrebbe facilitare il guado.

La notte del 12 ottobre è tutto pronto per iniziare l’attacco, ad aspettarli ci sono tre divisioni tedesche: la 15ª Panzer Grenadier Division. 20 km dopo al centro, la Panzer Hermann Göring Division che difendeva un tratto di circa 25 chilometri fino alla cittadina di Caiazzo. Per ultima, verso l’entroterra, lontano dalle zone cruciali, la 3ª Panzer Grenadier Division, che è la meno efficiente. Come previsto da Kesselring le piogge torrenziali mandano il fiume in piena e che rende le rive più fangose, in pratica un’arma in più a favore dei tedeschi.

Dopo la mezzanotte gli americani simulano un attacco diversivo verso Triflisco, e contemporaneamente cannoneggiano, sparando anche fumogeni per nascondere i movimenti delle truppe che avanzano simultanee su tutta la linea del fronte.

L’avanzata è lenta e difficoltosa, finalmente prima dell’alba gli uomini del I° battaglione penetrano nelle linee nemiche, ale prime luci del giorno i tedeschi individuano i passaggi degli americani, intano altri battaglioni si aggiungono e passano i primi carri armati.
Oltre il guado i tedeschi sono arroccati sulle alture e serrati nel paese di Caiazzo.

Le truppe della Vª armata fanno pressione verso gli avamposti tedeschi, la situazione rimane equilibrata fino alla notte del 13, quando il 30° Fanteria dopo aver attraversato il fiume e saliti sulle colline, si accorgono che i tedeschi si erano già ritirati usando abilmente tattiche di retroguardia ripiegando 15 km più a nord, verso la Linea Barbara.

L’eccidio di Caiazzo del 13 ottobre
Nella ritirata i tedeschi si macchiano di un atroce delitto, non è la prima volta, anzi sono innumerevoli gli eccidi che compiono sul suo italiano prima e dopo di questo e con loro i fascisti repubblicani. La guerra totale si stra trasformando in guerra di sterminio, che si configura come strategia di terrore e di dominio verso la popolazione inerme (non solo quella italiana), incalzata dal sentore di una guerra che si stava perdendo giorno per giorno.
La strage e la distruzione del paese di Caiazzo avviene il 13 ottobre, dove viene uccisa deella popolazione inerme, perché accusati di aver fatto delle segnalazioni agli alleati. Sotto i colpi della 3ª compagnia dei Panzergrenadier, cadono 23 civili, tra cui 9 bambini.

La battaglia della Linea Barbara: 31 ottobre – 4 novembre
Superato il Volturno, le truppe alleate trovano un nuovo sbarramento, la Linea Barbara, una serie di avamposti approntati frettolosamente ma che potessero ugualmente rallentare la risalita alleata e da permettere di finire i lavori sulla Linea Gustav. Il percorso parte dalla costa occidentale, arriva alla dorsale del Monte Massico, poi fino a Teano, Presenzano e Pozzilli. Per chiudere sulla costa adriatica seguendo il fiume Trigno.

L’attacco alleato si concentra su una fascia di circa 90 km, dal Tirreno all’entroterra, verso Isernia, perché in quell’area più a nord si trova la Linea Bernhardt, il saliente della Gustav e la strada migliore per arrivare a Roma dal lato tirrenico.

Il 31 ottobre avviene il primo sfondamento della linea ad opera della 7ª Divisione corazzata britannica che da Mondragone raggiunge il Garigliano. A ventaglio verso l’interno le divisioni 46ª e la 56ª avanzano verso Monte Camino. Le divisioni USA 3ª, 34ª, 45ª avanzano centralmente, conquistando i territori di Mignano, Pozzilli e poi il 4 novembre viene preso il Monte Cesima dove c’è uno degli ultimi baluardi tedeschi in quella zona. Il 504° Battaglione Paracadutisti facendosi strada attraverso ripide montagne, conquista Isernia.
La tattica tedesca è sempre quella di rallentare l’avanzata alleata.

La Linea Bernhardt
Detta anche Linea Reinhard, è una propaggine della principale posizione difensiva tedesca a sud di Roma, la linea Gustav. Il percorso di entrambe inizia alla foce del fiume Garigliano, ma mentre la Gustav taglia in due l’Italia centrale, la Bernhardt tocca le cime di Monte la Remetanea e Monte Maggiore, nel territorio di Rocca d’Evandro, Monte Sambucaro, passand per Monte Cassino si ricongiunge alla Gustav.

La Bernhardt è lo scudo a Cassino e l’ingresso alla Valle del Liri, che a sua volta era la via migliore per un’avanzata alleata su Roma, usando le strade Casilina (Highway 6) e Appia (Highway 7).

Il 5 novembre gli alleati iniziano l’assedio alla Linea Bernhardt ma la Campagna d’Italia era oramai divenuta uno scenario secondario, si stavano organizzando tutti i preparativi per l’Operazione Overlord, ovvero lo sbarco in Normandia per invadere la Francia e entrare in Germania dal fianco occidentale. Per la mastodontica operazione militare si stavano spostando truppe dal fronte italiano e solo in parte venivano sostituite, di fatto indebolendo la linea d’attacco.

L’offensiva alleata trova ancora una risposta energica da parte tedesca. Anche il tempo invernale rende il terreno più impervio, forti piogge fanno risalire il fiume Sangro, spazzando i ponti inglesi e costringendo Montgomery fu costretto a fermarsi fino al 27 novembre.

Generale Sir Bernard L. Montgomery
Soprannominato “Monty”
Nella seconda guerra acquista fama grazie alla vittoria ad El Alamein dove sconfigge l’esercito dell’Asse comandato dal noto ed abile rivale tedesco Erwin Rommel conosciuto come la “Volpe del deserto”.

Nel disegno di avanzata verso Roma fa parte anche la città di Ortona, nodo finale della Linea Gustav sul versante Adriatico, praticamente con l’avanzamento centrale, quello di Ortona e lo sbarco ad Anzio si sarebbe arrivati a Roma per tre vie.

Ad Ortona le truppe tedesche avevano ricevuto l’ordine da Hitler di tenerla a tutti i costi, e fanno sfollare i civili dalla cittadina. La battaglia durissima (20-28 dicembre 1943), costò la vita di molti soldati, sia tedeschi che canadesi che seppur vincendo non sortirono effetti importanti nel contesto, non a caso è chiamata la Stalingrado d’Italia.

Ortona dopo la battaglia: soldati canadesi in perlustrazione tra le vie piene di macerie

La Linea Bernhardt viene sfondata il 17 dicembre del ’43, ora la Linea Gustav è l’ultimo baluardo prima di Roma ma la gli alleati ora hanno di fronte la fortificazione più ostica, battaglia durerà diversi mesi, lo sfondamento comporta il sacrificio anche l’Abbazia e la città di Cassino che vengono rase al suolo dai bombardamenti

Paracadutista tedesco che osserva Montecassino
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