Il giorno della Memoria
Con il manifesto della razza del 1938 la comunità ebraica italiana ebbe un sussulto, di colpo infatti erano diventati “rei” semplicemente perché erano loro stessi, proprio quelli del giorno prima. Quanto era stato fatto nel Risorgimento con l’Unità d’Italia da Vittorio Emanuele II per uniformate tutti i cittadini italiani, venne vanificato.
Nel 1937 Mussolini per nascondere la piaga del meticciato diffusa nelle colonie africane e per risollevare il consenso al regime, gioca la carta del razzismo, sia verso i coloni che verso gli ebrei, verso questi ultimi è un volta faccia, visto che mai prima si era esposto contro, d’altronde molti ebrei avevano la tessera fascista e vivevano la vita quotidiana come tutti gli altri, italiani a tutti gli effetti dunque. La comunità italiana conta circa 50.000 ebrei, un numero sacrificabile per rafforzare il mito dell’uomo fascista, guerriero di razza pura, sotto la regia del regime, progressivamente giornalisti ed intellettuali con libri ed articoli ad hoc instillano la scintilla antisemita nella popolazione. Ulteriore strumento d’informazione e persuasione è la rivista «Difesa della razza» che aiuta nel martellamento in chiave ariana e antisemita.
Il 14 luglio sul «Il Giornale d’Italia» viene messo il manifesto della razza, la maccihna propagandistica comincia a muoversi, la scelta anti ebraica promossa dal regime però non viene sempre accolta, in tutta Italia si manifestano segnali di stupore e contrarietà. A fine agosto a Roma, città tradizionalmente cosmopolita grazie agli scambi commerciali nell’epoca del Mediterraneo antico, aveva già rapporti millenari con gli ebrei. E nel 1938 una frase come: «la grande maggioranza non comprende né razzismo né antisemitismo: il romano, fedele al suo vecchio motto, se ne frega “ce so’ tanti ebrei più galantuomini de li cristiani; un c’avevano antro da pensà”» era lo specchio della popolazione.
La promulgazione delle leggi razziali apre ad una nuova fase: quella del censimento e dell’epurazione, così a cominciare dalle figure nei piani alti del fascismo, dei ministeri e poi a scendere. Tutti gli ebrei con una scusa o un’altra vengono allontanati dai loro posti di lavoro.
Il 2 settembre 1938 Bottai presenta al Consiglio dei ministri il Provvedimento per la difesa della razza nella scuola italiana, docenti ed alunni ebrei vengono epurati, i bambini ebrei non riescono a capire perché vengono separati dai loro simili e ne rimangono shoccati. Gli altri bambini mostrano invece differenza. Gradualmente la morsa antisemita pompata dalla stampa spinge gli altri italiani a sentirsi ariani e a provare ripugnanza per le persone di origine ebrea. Invidia a speculazione ne approfittano per scalzare figure di prestigio e per isolare il loro commercio. Di contro alla scelta ariana, si muovono lamentele in cui ci si preoccupa spesso di scimmiottare il tedesco, mai comunque la contrarietà sfocia in fatti preoccupanti per il regime.
Nel ’39 l’antisemitismo diviene diffuso, pervasivo, va sottolineato che gli ebrei vengono esclusi dall’ambito militare, una mossa che durante il conflitto non farà altro che aggravare la posizione anti ebraica. Intanto capitano fatti di violenza contro gli ebrei, verso i quali però non manca anche da parte di qualcuno solidarietà ma è sempre una minoranza. La critica alla leggi razziali dimostrata da papa Pio XI, si affievolisce con Pio XII che gli succede il 12 marzo.
Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del ’40, gli ebrei vengono accusati di essere sabotatori, i fascisti chiedono di rinchiudere tutti gli israeliti in campi di concentramento, d’altronde gli ebrei italiani non avendo la chiamata alle armi perché epurati, sono liberi di svolgere le loro professioni, generando invidia e maldicenze per la loro posizione privilegiata. Viene poi attuato il confinamento per quelli ritenuti più pericolosi e sovversivi verso il regime fascista.
Il 6 maggio 1942 viene istituito il lavoro obbligatorio per gli ebrei tra i 18 e i 55 anni, una nuova misura razziale più propagandistica che altro, che serve ad ammortizzare la visione degli ebrei come dei “privilegiati”.
Con la caduta del fascismo il 25 luglio del ’43, si pensa finalmente ad una liberalizzazione, ma il governo Badoglio “dimentica” la questione ebraica, possibile che si sia fatto nulla per non insospettire i tedeschi, visto che l’Italia già da tempo era segretamente impegnata ad una soluzione di pace con gli alleati per uscire dalla guerra.
Ecco dunque che dopo l’8 settembre mezza Italia è in mano tedesca, se durante la guerra Mussolini e i gerarchi, sapendo della “soluzione finale”, avevano tenuto una linea di protezione verso gli ebrei italiani, specie quelli legati all’economia del paese, dando in cambio ai tedeschi gli ebrei non italiani, ora non vi era più alcun filtro, alla persecuzione mortale che i nazisti stavano per applicare in Italia, prima a Trieste e poi a Roma.
La shoah romana in breve
Dall’11 settembre del ’43 Roma è in mano tedesca nel giro di pochi giorni arrivano al capo della polizia tedesca, il colonnello Herbert Kappler, dispacci riguardo la liquidazione delle ebrei romani. Kappler in realtà è riluttante, non vorrebbe, ma non per motivi umanitari. Ha piuttosto paura che un rastrellamento in grande stile degli ebrei possa accendere una rivolta dei romani, poi i fatti di Napoli dove la popolazione è riuscita a cacciare l’esercito in quel momento è un esempio fresco. Non ultime le possibili reazioni del Vaticano, Roma non è una città come le altre.
Ad occuparsi dell’operazione viene inviato a Roma uno specialista il capitano Dannecker che con i suoi uomini coordinerà l’operazione e Kappler con i suoi sarà di supporto.Preventivamente con l’aiuto dei fascisti, il 6 ottobre i tedeschi effettuano un rastrellamento dei carabinieri reali romani, un’operazione preventiva perché ritenevano che dei carabinieri, fedeli alla corona, non ci si potesse fidare, avrebbero potuto essere d’intralcio alla judenaktion romana.
In effetti molti carabinieri, capito che con la consegna delle armi ed il trasferimento, sarebbero stati catturati, riescono a scappare dandosi alla macchia, molti di loro poi rientreranno nella resistenza militare.
Sabato 16 ottobre alle prime luci dell’alba i quartiere ebraico viene circondato dai militari tedeschi, la razzia si svolge in tutta la città, vengono prese 1.259 persone e portate presso il Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara 82, dove viene fatta una prima selezione, infatti le persone che partiranno con un convoglio il 18 ottobre per il campo di concentramento di Auschwitz, sono 1007, di esse sopravviveranno 15 uomini e una donna.
Nel 1943 si stima che a Roma vivevano circa 13.500 ebrei, su cui ne vengono deportati oltre 2.000, dai campi di concentramento ne torneranno meno di un centinaio. Nella tragedia, l’operazione era stata un fallimento che compiacque l’efficiente e determinato Kappler, che voleva mantenere un basso profilo per non avere disordini in città. Le persecuzioni agli ebrei romani continueranno anche dopo quel sabato nero durante quei nove mesi, ma non ci fu più mai a Roma un’operazione di quella portata.
Molti ebrei scamparono alla cattura grazie all’aiuto della popolazione, che con pronta solidarietà rischiò per se stessa nascondendo gli ebrei romani. A differenza, rimangono ancora ombre sull’operato di Pio XII e della Chiesa, che fece aprire le porte dei conventi e dei monasteri agli ebrei ma i detrattori indicano i suoi silenzi soprattutto per il treno della morte, per cui molti auspicavano un suo gesto. La vicenda dei silenzi è tutt’oggi oggetto di studio da parte degli storici, Papa Francesco a riguardo a fatto desecretare documenti riguardo quel periodo, benché sia uscito un saggio al riguardo, la pandemia ha fermato tutto ed è ancora presto per avere una conoscenza più completa dei fatti.
Oggi 27 gennaio è l’ “International Holocaust Remembrance Day” per noi meglio conosciuto come “Il giorno della Memoria”, noi di Coprifuoco abbiamo voluto ricordarlo con la vicenda italiana e romana.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.