LA DEPORTAZIONE DEI CARABINIERI – 7 OTTOBRE ’43

80° ANNIVERSARIO

La pietra di inciampo in memoria dei carabinieri deportati

Dal 10 settembre Roma è sotto il controllo tedesco, comandante della città è il generale Rainer Stahel, lo resta fino al 30 ottobre quando viene sostituito dal generale Kurt Mälzer.

Al comando della Gestapo (Polizia segreta), SD (intelligence) e SiPo (Polizia di Sicurezza), c’è il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler. Grazie ai suoi agenti sa tutto e conosce l’umore della città, di cui mantene perfetto l’ordine pubblico e di cui il vero dominus.

Con l’Italia in mano nazista viene messa subito in atto la macchina della Judenrazzia ovvero il rastrellamento degli ebrei nelle aree occupate. Napoli appena liberatasi oramai è fuori discussione.

Per Roma invece che ha una numerosa comunità ebraica è in progetto un grande rastrellamento, per il quale è giunto appositamente nella capitale il capitano Theodor Dannecker con la sua squadra di SS Totenkopfverbände, specializzata nella caccia agli ebrei che aveva già operato largamente in Europa.

Kappler è pronto a mettere i suoi uomini in campo ma ha delle riflessioni realistiche che lo frenano.

Ritiene infatti che l’insurrezione napoletana potrebbe essere emulata dai romani. Teme inoltre che i carabinieri possano sabotare il rastrellamento, non sarebbe la prima volta che sotto comando tedesco evitino di collaborare. A Napoli stessa si sono uniti alla guerriglia della popolazione contro l’occupante, come avevano combattuto poche settimane prima a Porta San Paolo. C’è il gesto eroico di Salvo D’acquisto. Carabinieri invisi anche ai fascisti, per l’arresto di Ettore Muti e l’arresto e detenzione dell’ex Duce Benito Mussolini. Per Kappler i carabinieri fedeli al Re e alla patria, possono essere solo d’intralcio e vanno neutralizzati. Per il suo piano trova il supporto del maresciallo Rodolfo Graziani, divenuto nel frattempo Ministro della difesa della Repubblica Sociale. Il 6 ottobre il maresciallo Graziani emette un ordine per il quale entro la notte stessa i carabinieri in servizio nella capitale devono consegnare le armi e rimanere consegnati in caserma. Gli ufficiali dovevano rimanere in consegna presso i propri alloggi.

La mattina del 7 ottobre ottobre ai carabinieri venne fatta la spoliazione delle armi, che un’onta per un militare. L’operazione viene eseguita sotto il controllo dei paracadutisti tedeschi che hanno anche l’ordine di sparare contro chiunque di loro tentasse di evadere. Ma soprattutto a collaborare con i tedeschi ci sono altri italiani, i militi della P.A.I. (Polizia dell’Africa italiana) e le camicie nere del battaglione Mussolini, la loro presenza aggrava la situazione, facendo sentire i carabinieri un profondo tradimento.

Le stime dei carabinieri catturati e di quelli tornati dai campi di concentramento rimane incerta si considera la cifra di 1500 unità. Comunque molti si diedero alla macchia appena saputo dell’ordine riuscendo così a salvarsi dalla deportazione. Ma già dall’8 settembre oltre 4.000 carabinieri si erano dati alla macchia, sottraendosi anche a quella forzata collaborazione istituzionale. Com’era già successo a Napoli i carabinieri liberavano i ragazzi catturati nei rastrellamenti e avvertivano chi doveva essere arrestato. Molti di quelli che si sono dati alla macchia confluiscono poi nel FCRC (Fronte Clandestino Resistenza dei Carabinieri), costituito dal generale Filippo Caruso e operativo non solo a Roma ma anche nell’Italia centrale. Le funzioni riguardano l’attività informativa sui movimenti nemici, e piccole squadre che impiegate operazioni di guerriglia e sabotaggio.

La presenza capillare, il servizio e la tutela che i carabinieri possono dare, viene meno per opera della loro sostituzione con la PAI, portando scompiglio nella città e lasciandola preda dei tedeschi, e delle angherie fasciste.

International Holocaust Remembrance Day

Il giorno della Memoria

Con il manifesto della razza del 1938 la comunità ebraica italiana ebbe un sussulto, di colpo infatti erano diventati “rei” semplicemente perché erano loro stessi, proprio quelli del giorno prima. Quanto era stato fatto nel Risorgimento con l’Unità d’Italia da Vittorio Emanuele II per uniformate tutti i cittadini italiani, venne vanificato.

Nel 1937 Mussolini per nascondere la piaga del meticciato diffusa nelle colonie africane e per risollevare il consenso al regime, gioca la carta del razzismo, sia verso i coloni che verso gli ebrei, verso questi ultimi è un volta faccia, visto che mai prima si era esposto contro, d’altronde molti ebrei avevano la tessera fascista e vivevano la vita quotidiana come tutti gli altri, italiani a tutti gli effetti dunque. La comunità italiana conta circa 50.000 ebrei, un numero sacrificabile per rafforzare il mito dell’uomo fascista, guerriero di razza pura, sotto la regia del regime, progressivamente giornalisti ed intellettuali con libri ed articoli ad hoc instillano la scintilla antisemita nella popolazione. Ulteriore strumento d’informazione e persuasione è la rivista «Difesa della razza» che aiuta nel martellamento in chiave ariana e antisemita.

Il 14 luglio sul «Il Giornale d’Italia» viene messo il manifesto della razza, la maccihna propagandistica comincia a muoversi, la scelta anti ebraica promossa dal regime però non viene sempre accolta, in tutta Italia si manifestano segnali di stupore e contrarietà. A fine agosto a Roma, città tradizionalmente cosmopolita grazie agli scambi commerciali nell’epoca del Mediterraneo antico, aveva già rapporti millenari con gli ebrei. E nel 1938 una frase come: «la grande maggioranza non comprende né razzismo né antisemitismo: il romano, fedele al suo vecchio motto, se ne frega “ce so’ tanti ebrei più galantuomini de li cristiani; un c’avevano antro da pensà”» era lo specchio della popolazione.

La promulgazione delle leggi razziali apre ad una nuova fase: quella del censimento e dell’epurazione, così a cominciare dalle figure nei piani alti del fascismo, dei ministeri e poi a scendere. Tutti gli ebrei con una scusa o un’altra vengono allontanati dai loro posti di lavoro.

Il 2 settembre 1938 Bottai presenta al Consiglio dei ministri il Provvedimento per la difesa della razza nella scuola italiana, docenti ed alunni ebrei vengono epurati, i bambini ebrei non riescono a capire perché vengono separati dai loro simili e ne rimangono shoccati. Gli altri bambini mostrano invece differenza. Gradualmente la morsa antisemita pompata dalla stampa spinge gli altri italiani a sentirsi ariani e a provare ripugnanza per le persone di origine ebrea. Invidia a speculazione ne approfittano per scalzare figure di prestigio e per isolare il loro commercio. Di contro alla scelta ariana, si muovono lamentele in cui ci si preoccupa spesso di scimmiottare il tedesco, mai comunque la contrarietà sfocia in fatti preoccupanti per il regime.

Nel ’39 l’antisemitismo diviene diffuso, pervasivo, va sottolineato che gli ebrei vengono esclusi dall’ambito militare, una mossa che durante il conflitto non farà altro che aggravare la posizione anti ebraica. Intanto capitano fatti di violenza contro gli ebrei, verso i quali però non manca anche da parte di qualcuno solidarietà ma è sempre una minoranza. La critica alla leggi razziali dimostrata da papa Pio XI, si affievolisce con Pio XII che gli succede il 12 marzo.

Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del ’40, gli ebrei vengono accusati di essere sabotatori, i fascisti chiedono di rinchiudere tutti gli israeliti in campi di concentramento, d’altronde gli ebrei italiani non avendo la chiamata alle armi perché epurati, sono liberi di svolgere le loro professioni, generando invidia e maldicenze per la loro posizione privilegiata. Viene poi attuato il confinamento per quelli ritenuti più pericolosi e sovversivi verso il regime fascista.

Il 6 maggio 1942 viene istituito il lavoro obbligatorio per gli ebrei tra i 18 e i 55 anni, una nuova misura razziale più propagandistica che altro, che serve ad ammortizzare la visione degli ebrei come dei “privilegiati”.

Con la caduta del fascismo il 25 luglio del ’43, si pensa finalmente ad una liberalizzazione, ma il governo Badoglio “dimentica” la questione ebraica, possibile che si sia fatto nulla per non insospettire i tedeschi, visto che l’Italia già da tempo era segretamente impegnata ad una soluzione di pace con gli alleati per uscire dalla guerra.

Ecco dunque che dopo l’8 settembre mezza Italia è in mano tedesca, se durante la guerra Mussolini e i gerarchi, sapendo della “soluzione finale”, avevano tenuto una linea di protezione verso gli ebrei italiani, specie quelli legati all’economia del paese, dando in cambio ai tedeschi gli ebrei non italiani, ora non vi era più alcun filtro, alla persecuzione mortale che i nazisti stavano per applicare in Italia, prima a Trieste e poi a Roma.

La shoah romana in breve
Dall’11 settembre del ’43 Roma è in mano tedesca nel giro di pochi giorni arrivano al capo della polizia tedesca, il colonnello Herbert Kappler, dispacci riguardo la liquidazione delle ebrei romani. Kappler in realtà è riluttante, non vorrebbe, ma non per motivi umanitari. Ha piuttosto paura che un rastrellamento in grande stile degli ebrei possa accendere una rivolta dei romani, poi i fatti di Napoli dove la popolazione è riuscita a cacciare l’esercito in quel momento è un esempio fresco. Non ultime le possibili reazioni del Vaticano, Roma non è una città come le altre.

Ad occuparsi dell’operazione viene inviato a Roma uno specialista il capitano Dannecker che con i suoi uomini coordinerà l’operazione e Kappler con i suoi sarà di supporto.Preventivamente con l’aiuto dei fascisti, il 6 ottobre i tedeschi effettuano un rastrellamento dei carabinieri reali romani, un’operazione preventiva perché ritenevano che dei carabinieri, fedeli alla corona, non ci si potesse fidare, avrebbero potuto essere d’intralcio alla judenaktion romana.
In effetti molti carabinieri, capito che con la consegna delle armi ed il trasferimento, sarebbero stati catturati, riescono a scappare dandosi alla macchia, molti di loro poi rientreranno nella resistenza militare.

Sabato 16 ottobre alle prime luci dell’alba i quartiere ebraico viene circondato dai militari tedeschi, la razzia si svolge in tutta la città, vengono prese 1.259 persone e portate presso il Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara 82, dove viene fatta una prima selezione, infatti le persone che partiranno con un convoglio il 18 ottobre per il campo di concentramento di Auschwitz, sono 1007, di esse sopravviveranno 15 uomini e una donna.

Nel 1943 si stima che a Roma vivevano circa 13.500 ebrei, su cui ne vengono deportati oltre 2.000, dai campi di concentramento ne torneranno meno di un centinaio. Nella tragedia, l’operazione era stata un fallimento che compiacque l’efficiente e determinato Kappler, che voleva mantenere un basso profilo per non avere disordini in città. Le persecuzioni agli ebrei romani continueranno anche dopo quel sabato nero durante quei nove mesi, ma non ci fu più mai a Roma un’operazione di quella portata.

Molti ebrei scamparono alla cattura grazie all’aiuto della popolazione, che con pronta solidarietà rischiò per se stessa nascondendo gli ebrei romani. A differenza, rimangono ancora ombre sull’operato di Pio XII e della Chiesa, che fece aprire le porte dei conventi e dei monasteri agli ebrei ma i detrattori indicano i suoi silenzi soprattutto per il treno della morte, per cui molti auspicavano un suo gesto. La vicenda dei silenzi è tutt’oggi oggetto di studio da parte degli storici, Papa Francesco a riguardo a fatto desecretare documenti riguardo quel periodo, benché sia uscito un saggio al riguardo, la pandemia ha fermato tutto ed è ancora presto per avere una conoscenza più completa dei fatti.

Oggi 27 gennaio è l’ “International Holocaust Remembrance Day” per noi meglio conosciuto come “Il giorno della Memoria”, noi di Coprifuoco abbiamo voluto ricordarlo con la vicenda italiana e romana.

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