LA DEPORTAZIONE DEI CARABINIERI – 7 OTTOBRE ’43

80° ANNIVERSARIO

La pietra di inciampo in memoria dei carabinieri deportati

Dal 10 settembre Roma è sotto il controllo tedesco, comandante della città è il generale Rainer Stahel, lo resta fino al 30 ottobre quando viene sostituito dal generale Kurt Mälzer.

Al comando della Gestapo (Polizia segreta), SD (intelligence) e SiPo (Polizia di Sicurezza), c’è il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler. Grazie ai suoi agenti sa tutto e conosce l’umore della città, di cui mantene perfetto l’ordine pubblico e di cui il vero dominus.

Con l’Italia in mano nazista viene messa subito in atto la macchina della Judenrazzia ovvero il rastrellamento degli ebrei nelle aree occupate. Napoli appena liberatasi oramai è fuori discussione.

Per Roma invece che ha una numerosa comunità ebraica è in progetto un grande rastrellamento, per il quale è giunto appositamente nella capitale il capitano Theodor Dannecker con la sua squadra di SS Totenkopfverbände, specializzata nella caccia agli ebrei che aveva già operato largamente in Europa.

Kappler è pronto a mettere i suoi uomini in campo ma ha delle riflessioni realistiche che lo frenano.

Ritiene infatti che l’insurrezione napoletana potrebbe essere emulata dai romani. Teme inoltre che i carabinieri possano sabotare il rastrellamento, non sarebbe la prima volta che sotto comando tedesco evitino di collaborare. A Napoli stessa si sono uniti alla guerriglia della popolazione contro l’occupante, come avevano combattuto poche settimane prima a Porta San Paolo. C’è il gesto eroico di Salvo D’acquisto. Carabinieri invisi anche ai fascisti, per l’arresto di Ettore Muti e l’arresto e detenzione dell’ex Duce Benito Mussolini. Per Kappler i carabinieri fedeli al Re e alla patria, possono essere solo d’intralcio e vanno neutralizzati. Per il suo piano trova il supporto del maresciallo Rodolfo Graziani, divenuto nel frattempo Ministro della difesa della Repubblica Sociale. Il 6 ottobre il maresciallo Graziani emette un ordine per il quale entro la notte stessa i carabinieri in servizio nella capitale devono consegnare le armi e rimanere consegnati in caserma. Gli ufficiali dovevano rimanere in consegna presso i propri alloggi.

La mattina del 7 ottobre ottobre ai carabinieri venne fatta la spoliazione delle armi, che un’onta per un militare. L’operazione viene eseguita sotto il controllo dei paracadutisti tedeschi che hanno anche l’ordine di sparare contro chiunque di loro tentasse di evadere. Ma soprattutto a collaborare con i tedeschi ci sono altri italiani, i militi della P.A.I. (Polizia dell’Africa italiana) e le camicie nere del battaglione Mussolini, la loro presenza aggrava la situazione, facendo sentire i carabinieri un profondo tradimento.

Le stime dei carabinieri catturati e di quelli tornati dai campi di concentramento rimane incerta si considera la cifra di 1500 unità. Comunque molti si diedero alla macchia appena saputo dell’ordine riuscendo così a salvarsi dalla deportazione. Ma già dall’8 settembre oltre 4.000 carabinieri si erano dati alla macchia, sottraendosi anche a quella forzata collaborazione istituzionale. Com’era già successo a Napoli i carabinieri liberavano i ragazzi catturati nei rastrellamenti e avvertivano chi doveva essere arrestato. Molti di quelli che si sono dati alla macchia confluiscono poi nel FCRC (Fronte Clandestino Resistenza dei Carabinieri), costituito dal generale Filippo Caruso e operativo non solo a Roma ma anche nell’Italia centrale. Le funzioni riguardano l’attività informativa sui movimenti nemici, e piccole squadre che impiegate operazioni di guerriglia e sabotaggio.

La presenza capillare, il servizio e la tutela che i carabinieri possono dare, viene meno per opera della loro sostituzione con la PAI, portando scompiglio nella città e lasciandola preda dei tedeschi, e delle angherie fasciste.

International Holocaust Remembrance Day

Il giorno della Memoria

Con il manifesto della razza del 1938 la comunità ebraica italiana ebbe un sussulto, di colpo infatti erano diventati “rei” semplicemente perché erano loro stessi, proprio quelli del giorno prima. Quanto era stato fatto nel Risorgimento con l’Unità d’Italia da Vittorio Emanuele II per uniformate tutti i cittadini italiani, venne vanificato.

Nel 1937 Mussolini per nascondere la piaga del meticciato diffusa nelle colonie africane e per risollevare il consenso al regime, gioca la carta del razzismo, sia verso i coloni che verso gli ebrei, verso questi ultimi è un volta faccia, visto che mai prima si era esposto contro, d’altronde molti ebrei avevano la tessera fascista e vivevano la vita quotidiana come tutti gli altri, italiani a tutti gli effetti dunque. La comunità italiana conta circa 50.000 ebrei, un numero sacrificabile per rafforzare il mito dell’uomo fascista, guerriero di razza pura, sotto la regia del regime, progressivamente giornalisti ed intellettuali con libri ed articoli ad hoc instillano la scintilla antisemita nella popolazione. Ulteriore strumento d’informazione e persuasione è la rivista «Difesa della razza» che aiuta nel martellamento in chiave ariana e antisemita.

Il 14 luglio sul «Il Giornale d’Italia» viene messo il manifesto della razza, la maccihna propagandistica comincia a muoversi, la scelta anti ebraica promossa dal regime però non viene sempre accolta, in tutta Italia si manifestano segnali di stupore e contrarietà. A fine agosto a Roma, città tradizionalmente cosmopolita grazie agli scambi commerciali nell’epoca del Mediterraneo antico, aveva già rapporti millenari con gli ebrei. E nel 1938 una frase come: «la grande maggioranza non comprende né razzismo né antisemitismo: il romano, fedele al suo vecchio motto, se ne frega “ce so’ tanti ebrei più galantuomini de li cristiani; un c’avevano antro da pensà”» era lo specchio della popolazione.

La promulgazione delle leggi razziali apre ad una nuova fase: quella del censimento e dell’epurazione, così a cominciare dalle figure nei piani alti del fascismo, dei ministeri e poi a scendere. Tutti gli ebrei con una scusa o un’altra vengono allontanati dai loro posti di lavoro.

Il 2 settembre 1938 Bottai presenta al Consiglio dei ministri il Provvedimento per la difesa della razza nella scuola italiana, docenti ed alunni ebrei vengono epurati, i bambini ebrei non riescono a capire perché vengono separati dai loro simili e ne rimangono shoccati. Gli altri bambini mostrano invece differenza. Gradualmente la morsa antisemita pompata dalla stampa spinge gli altri italiani a sentirsi ariani e a provare ripugnanza per le persone di origine ebrea. Invidia a speculazione ne approfittano per scalzare figure di prestigio e per isolare il loro commercio. Di contro alla scelta ariana, si muovono lamentele in cui ci si preoccupa spesso di scimmiottare il tedesco, mai comunque la contrarietà sfocia in fatti preoccupanti per il regime.

Nel ’39 l’antisemitismo diviene diffuso, pervasivo, va sottolineato che gli ebrei vengono esclusi dall’ambito militare, una mossa che durante il conflitto non farà altro che aggravare la posizione anti ebraica. Intanto capitano fatti di violenza contro gli ebrei, verso i quali però non manca anche da parte di qualcuno solidarietà ma è sempre una minoranza. La critica alla leggi razziali dimostrata da papa Pio XI, si affievolisce con Pio XII che gli succede il 12 marzo.

Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del ’40, gli ebrei vengono accusati di essere sabotatori, i fascisti chiedono di rinchiudere tutti gli israeliti in campi di concentramento, d’altronde gli ebrei italiani non avendo la chiamata alle armi perché epurati, sono liberi di svolgere le loro professioni, generando invidia e maldicenze per la loro posizione privilegiata. Viene poi attuato il confinamento per quelli ritenuti più pericolosi e sovversivi verso il regime fascista.

Il 6 maggio 1942 viene istituito il lavoro obbligatorio per gli ebrei tra i 18 e i 55 anni, una nuova misura razziale più propagandistica che altro, che serve ad ammortizzare la visione degli ebrei come dei “privilegiati”.

Con la caduta del fascismo il 25 luglio del ’43, si pensa finalmente ad una liberalizzazione, ma il governo Badoglio “dimentica” la questione ebraica, possibile che si sia fatto nulla per non insospettire i tedeschi, visto che l’Italia già da tempo era segretamente impegnata ad una soluzione di pace con gli alleati per uscire dalla guerra.

Ecco dunque che dopo l’8 settembre mezza Italia è in mano tedesca, se durante la guerra Mussolini e i gerarchi, sapendo della “soluzione finale”, avevano tenuto una linea di protezione verso gli ebrei italiani, specie quelli legati all’economia del paese, dando in cambio ai tedeschi gli ebrei non italiani, ora non vi era più alcun filtro, alla persecuzione mortale che i nazisti stavano per applicare in Italia, prima a Trieste e poi a Roma.

La shoah romana in breve
Dall’11 settembre del ’43 Roma è in mano tedesca nel giro di pochi giorni arrivano al capo della polizia tedesca, il colonnello Herbert Kappler, dispacci riguardo la liquidazione delle ebrei romani. Kappler in realtà è riluttante, non vorrebbe, ma non per motivi umanitari. Ha piuttosto paura che un rastrellamento in grande stile degli ebrei possa accendere una rivolta dei romani, poi i fatti di Napoli dove la popolazione è riuscita a cacciare l’esercito in quel momento è un esempio fresco. Non ultime le possibili reazioni del Vaticano, Roma non è una città come le altre.

Ad occuparsi dell’operazione viene inviato a Roma uno specialista il capitano Dannecker che con i suoi uomini coordinerà l’operazione e Kappler con i suoi sarà di supporto.Preventivamente con l’aiuto dei fascisti, il 6 ottobre i tedeschi effettuano un rastrellamento dei carabinieri reali romani, un’operazione preventiva perché ritenevano che dei carabinieri, fedeli alla corona, non ci si potesse fidare, avrebbero potuto essere d’intralcio alla judenaktion romana.
In effetti molti carabinieri, capito che con la consegna delle armi ed il trasferimento, sarebbero stati catturati, riescono a scappare dandosi alla macchia, molti di loro poi rientreranno nella resistenza militare.

Sabato 16 ottobre alle prime luci dell’alba i quartiere ebraico viene circondato dai militari tedeschi, la razzia si svolge in tutta la città, vengono prese 1.259 persone e portate presso il Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara 82, dove viene fatta una prima selezione, infatti le persone che partiranno con un convoglio il 18 ottobre per il campo di concentramento di Auschwitz, sono 1007, di esse sopravviveranno 15 uomini e una donna.

Nel 1943 si stima che a Roma vivevano circa 13.500 ebrei, su cui ne vengono deportati oltre 2.000, dai campi di concentramento ne torneranno meno di un centinaio. Nella tragedia, l’operazione era stata un fallimento che compiacque l’efficiente e determinato Kappler, che voleva mantenere un basso profilo per non avere disordini in città. Le persecuzioni agli ebrei romani continueranno anche dopo quel sabato nero durante quei nove mesi, ma non ci fu più mai a Roma un’operazione di quella portata.

Molti ebrei scamparono alla cattura grazie all’aiuto della popolazione, che con pronta solidarietà rischiò per se stessa nascondendo gli ebrei romani. A differenza, rimangono ancora ombre sull’operato di Pio XII e della Chiesa, che fece aprire le porte dei conventi e dei monasteri agli ebrei ma i detrattori indicano i suoi silenzi soprattutto per il treno della morte, per cui molti auspicavano un suo gesto. La vicenda dei silenzi è tutt’oggi oggetto di studio da parte degli storici, Papa Francesco a riguardo a fatto desecretare documenti riguardo quel periodo, benché sia uscito un saggio al riguardo, la pandemia ha fermato tutto ed è ancora presto per avere una conoscenza più completa dei fatti.

Oggi 27 gennaio è l’ “International Holocaust Remembrance Day” per noi meglio conosciuto come “Il giorno della Memoria”, noi di Coprifuoco abbiamo voluto ricordarlo con la vicenda italiana e romana.

Il sabato nero, ovvero la razzia del 16 ottobre

Oggi sabato 16 ottobre ricorre il 78° anniversario del grande rastrellamento degli ebrei romani, allora, nel ’43 era sabato, giorno scelto volutamente dai tedeschi per operare la razzia e per questo divenne poi tristemente noto come il “sabato nero”. I 1259 ebrei vennero catturati principalmente nel quartiere ebraico ma anche in tutta la città, il disegno distruttivo era totale. Trasportati a Palazzo Salviati in via della Lungara 82, sede del Collegio Militare, venne fatta loro una prima selezione che doveva raccogliere solo gli ebrei puri, vennero quindi liberati: meticci, stranieri e le famiglie da matrimoni misti. I rimanenti 1007 vennero deportati al campo di Auschwitz, di essi sopravvissero 15 uomini e una sola donna che corrisponde al nome di Settimia Spizzichino.

La macchina della morte arriva in Italia
L’antisemitismo tedesco elemento fondante del nazionalsocialismo hitleriano dopo un tentativo di espulsione degli ebrei tedeschi dalla Germania che trovò contro le altre nazioni non favorevoli all’emigrazione di massa, vennero tentati altri sistemi di spostamento di massa in altri luoghi e l’utilizzo nei campi di lavoro, portò alla scelta dell’epurazione definitiva con la cosiddetta “soluzione finale”, ovvero lo sterminio degli ebrei, prima con le Einsatzgruppen, truppe specializzate nell’eliminazione che agivano dopo il passaggio dell’esercito regolare. E poi nel gennaio del ’42 con la conferenza di Wannsee presso Berlino, dove si decise per la così detta “soluzione finale”.
Per fare tutto questo oltre ad una efficace macchina propagandistica che giorno dopo giorno istillava l’odio verso gli ebrei tedeschi era necessaria grande organizzazione, potenza industriale e impiego di centinaia di migliaia di militari per far si che tutti si compisse con rapidità ed efficacia. Ed è questo sforzo immane e totale che rende tutto più orrido. Un libro teorizza l’antisemitismo tedesco come la difesa di un popolo nazionalista ma insicuro in cui l’invidia covata verso gli ebrei tedeschi perché si dimostravano più capaci e brillanti, divenne il seme di un odio insopportabile, tale che non era possibile si potesse perpetrare ancora. Ciò che ha cavalcato il nazionalsocialismo è stata l’insicurezza dell’emancipazione.

Il rastrellamento dei carabinieri reali
Eravamo un ingombro, un ostacolo per i nazifascisti, eravamo testimoni da eliminare, eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi”.

magg. dei Carabinieri Alfredo Vestuti

I Carabinieri Reali erano considerati fedeli alla corona, un dato di fatto evidenziato anche dal loro supporto alla popolazione, o come nei combattimenti di fine settembre a Napoli contro l’invasore tedesco. Invisi anche ai fascisti per l’arresto di Mussolini e agli occhi di Kappler non erano solo inutili ma odiati o quantomeno ritenuti pericolosi ed inaffidabili, e avrebbero potuto anche ostacolare l’imminente operazione di rastrellamento. Si procedette alla cattura tramite un ordine di disarmo del maresciallo Rodolfo Graziani, trasmesso alle caserme romane il 6 ottobre, il giorno dopo reparti di Fallschirmjäger (paracadutisti tedeschi) SS e la PAI (Polizia Africa Italiana) occuparono le caserme, facendo prigionieri i carabinieri, molti però già nella notte fuggirono per darsi alla macchia o entrare nella resistenza militare.

La judenaktion in Italia e a Roma
La Germania nazista che avevano schedato tutti gli ebrei d’Europa, con l’armistizio dell’8 settembre ai territori italiani del centro-nord occupati, si può applicare la judenaktion.La prima comunità rastrellata è quella triestina, il 9 ottobre, giorno del Kippur, gli ebrei catturati vengono temporaneamente portati alla risiera di San Sabba che fungerà da centro di detenzione in generale ed anche per un secondo rastrellamento del 20 gennaio del ’44. Totalmente verranno deportati 710 ebrei triestini, ne torneranno circa una 20ina.

Naturalmente avevano tra i loro obiettivi gli ebrei romani che secondo le stime tedesche erano 8000 ma in realtà siamo vicini ai 13000 ebrei a Roma che chiaramente non vivevano solo nel ghetto ma anche in altre zone della città. Ma Roma non era Trieste, la Santa Sede era comunque un ostacolo all’azione. Infatti i tedeschi consideravano in maniera ossessiva il Vaticano come un nido di spie, un’isola neutrale all’interno dei territori occupati dal Terzo Reich, un’anomalia che si reggeva sul prestigio del papa e sull’interesse della Germania di fronte all’opinione internazionale a non violare la neutralità vaticana. Questa anomalia veniva percepita dai tedeschi come una sfida alla loro supremazia, benché Hitler potesse essere capace di aggredire questa sfida.
Ma i tedeschi avrebbero rispettato il confine tra il Vaticano e Roma?

L’ossessività nello spionaggio è provata con la ricerca di informazioni richiesta a ben cinque organizzazioni del Reich a cominciare dalla Gestapo, dal servizio informazioni del partito nazista, dal servizio segreto militare, alla cancelleria del partito e ai servizi segreti del ministero degli esteri. Non ostante questo controllo di vasta portata la penetrazione nelle stanze vaticane produsse risultati scarni. Risultati migliori furono ottenuti con le intercettazioni telefoniche e radiofoniche.
Un deterrente pesante per l’azione tedesca che temeva possibili ripercussioni popolari, ma di controparte come si ventilava in Vaticano che Hitler aveva pensato di rapire il papa e che ciò era tutt’altro che un pensiero remoto, fatto sta che Pio XII non uscì dal Vaticano per tutto il periodo dell’occupazione nazista. Ci si era anche preoccupati di dipingere una linea bianca ai confini del colonnato berniniano dove le guardie tedesche vigilavano la soglia dei due stati.

La preparazione alla judenrazzia
La caccia agli ebrei non tarda a manifestarsi anche a Roma, subito dopo l’occupazione di Roma il colonnello Kappler riceve da Heinrich Himmler (il n° 2 di Hitler) Reichsführer-SS cioè comandante in capo delle SS, una dispaccio inerente la questione ebraica a Roma. Sempre Himmler il 24 settembre invia una seconda comunicazione più esplicita a Kappler per organizzare il rastrellamento degli ebrei romani.
Il 26 settembre Kappler invia una richiesta di 50 kg di oro, alla comunità ebraica, da consegnare entro 36 ore, pena la deportazione di 200 capifamiglia. Gli ebrei romani ruscirono a consegnare l’enorme quantità di oro in tempo e ciò fece sentire tranquilla la comunità. L’oro fu mandato in Germania nella sede della polizia, recuperato nel dopo guerra si vide che la cassa non venne mai aperta.
Sullo scopo sono diverse le ipotesi, una è un diversivo per nascondere la minaccia, l’altra invece una sostituzione al rastrellamento per convincere la dirigenza che gli ebrei romani potevano essere utili in altra maniera. Detto da Kappler stesso al processo nel dopo guerra, come evidenziato effettivamente egli stesso aveva altre urgenze. Va detto che il rastrellamento è stato un mezzo fallimento, si pensava che potevano essere catturati più ebrei rispetto ai 1000 presi ma giuridicamente Roma città aperta non si potevano bloccare tutte le strade per il rastrellamento, un modo per Kappler di giustificarsi. L’ultimo tentativo di Kappler e di Moellhausen per fermare la razzia furono due telegrammi inviati il 6 e il 7 ottobre da Kappler al Comandante supremo delle SS in Italia Wolf e da Moellhausen al ministro degli esteri von Ribbentrop. Nei telegrammi si proponeva, invece della deportazione, di adoperare gli ebrei nei lavori di fortificazione e si adduceva la risposta negativa di Kesselring per sottolineare come le forze di cui Kappler disponeva non fossero sufficienti all’operazione.
Il 1° di ottobre arriva a Roma Theodor Danneker capitano delle SS con le sue truppe specializzate nel rastrellamento, per organizzare l’operazione e lavorare di concerto con le truppe di Kappler.

In quel momento a Roma erano presenti circa 13000 ebrei, per la scchedatura, i tedeschi avevano delle liste fornite dall’amministrazione italiana. I repubblichini collaborarono alla cattura degli ebrei, in particolare nelle fasi preparatorie ma non nell’azione della razzia perché in fondo non si fidavano degli italiani. La caccia agli ebrei continuò anche dopo il rastrellamento, vennero presi circa altri 1000. Durante l’occupazione tedesca in Italia vennero deportati ed uccisi circa 7594 ebrei italiani (13% di 58.412 totali), i deportati romani erano 2.091, praticamente più di 1/3 di tutti i deportati.

La judenrazzia
Le indicazioni date dalle dirigenze comunitarie agli ebrei di Roma furono quelle di continuare a svolgere la loro vita normale, senza nascondersi. Invano il rabbino capo Israel Zolli, ben consapevole di quanto stava succedendo all’Est, tntò di convicere gli altri ebrei a fuggire e in un clima di tranquillità molti di essi vennero catturati.
L’operazione cominciò poco prima delle 5:30. Il quartiere del vecchio ghetto era circondato,c’erano pattuglie tedesche di guardia a tutte le vie di accesso, in via del Tempio, in via del Progresso, in via del Portico d’Ottavia, in piazza Costaguti, in via di Sant’Angelo in Pescheria, in piazza Mattei, di fronte al teatro di Marcello. Anche se forse, a giudicare da quanti sono riusciti a fuggire da via di Sant’Angelo in Pescheria, da quella parte la rete non dovette essere troppo stretta, probabilmente per mancanza di uomini. Nella Casa, i nazisti non ebbero neanche il bisogno di sfondare il portoncino di legno, che era tutto sfasciato e restava sempre aperto. Entrarono nel cortile a passi pesanti e cominciarono a bussare alle porte col calcio del fucile, là al piano terra, dove si aprivano gli appartamenti e i magazzini. Poi, dal momento che nessuno andava loro ad aprire, sfondarono una porta a spallate, sempre gridando ordini nel vuoto. A quel punto, tutti gli abitanti della Casa erano svegli e tendevano un orecchio atterrito a quanto stava succedendo al piano terra.
Palazzo Costaguti di confine dove il gerarca nascose diversi ebrei.I nazisti avevano con sé le liste del censimento fascista del 1938, che incrociarono probabilmente con gli elenchi dei contribuenti – sembra che si trattasse di quello dei soli contribuenti, non di tutti gli iscritti – sottratti alla Comunità. Gli elenchi del 1938, originariamente in ordine alfabetico, erano stati riorganizzati per quartiere, strade, edifici, interni con la collaborazione della polizia italiana. Dannecker e i suoi stretti collaboratori lavorarono per una settimana, consegnando in caserma i poliziotti italiani per mantenere la più assoluta segretezza, anche se nella sua deposizione al processo Kappler sosterrà di averli mandati a casa per facilitare la fuga di notizie. L’operazione fu condotta esclusivamente dalle SS. Ci sono alcune testimonianze che sostengono di aver visto fascisti con loro, ma la storiografia è concorde nel negarlo, mentre la loro presenza è documentata nella razzia nazista avvenuta a Siena il 6 novembre, sempre ad opera di Dannecker e dei suoi uomini. Le liste usate dagli uomini di Dannecker erano quelle del censimento del 1938 completate dai documenti dell’autodenuncia imposta agli ebrei e dagli aggiornamenti presenti in tutta una serie di istituzioni, la Questura, la Prefettura, la Demorazza, molti commissariati fra cui il Commissariato Campitelli che aveva giurisdizione sul quartiere dell’ex ghetto. Sembra che sia stata usata la copia depositata presso la Questura.
Gli ebrei non vennero presi tutti nel ghetto (40% dentro, 60%) ed appartenenti a diversi ceti sociali di cui la metà appartenevano agli strati medio alti. Quartiere Trieste, Monteverde, Trastevere e Monte Sacro.
Le case del ghetto lasciate dagli ebrei vennero occupate da sfollati o da fascisti

16 ottobre – apparve sul Messaggero un articolo in cui la colpa della guerra, le distruzioni era degli ebrei.
25 ottobre – da parte dell’Osservatore Romano comparve un articolo sulla carità del Santo Padre che accennava in maniera indiretta alla vicenda dicendo che il papa era vicino a tutte le persone senza distinzione di razza, appartenenza e religione, questa fu la risposta pubblica. La razzia fu in trauma per tutta la città, un atto di barbarie perpetrato dall’occupante tedesco, molte ebrei vennero salvate sul momento da altri romani, alcuni dei quali erano fascisti, Kappler sapeva di stare in una città ostile, questo le sue parole: comportamento della popolazione italiana [è stato] chiaramente di resistenza passiva; che in un gran numero di casi singoli si è mutata in prestazioni di aiuto attivo […]. Si poterono osservare chiaramente anche dei tentativi di nascondere i giudei in abitazioni vicine all’irrompere della forza germanica ed è comprensibile che, in parecchi casi, questo tentativi abbiano avuto successo. Durante l’azione non è apparso segno di partecipazione della parte antisemita della popolazione; ma solo una massa amorfa che in qualche caso singolo ha anche cercato si separare la forza [di polizia] dai giudei.

La razzia romana un fallimento premeditato?
Ma anche altri elementi contribuirono ad una razzia che successivamente venne definita da Kappler un fallimento. Gli ufficiali del comando tedesco avvertivano l’ostilità della popolazione e benché tenessero la città sotto scacco era necessario mantenere alta la guardia, muoversi con giudizio ed eliminare in tutti i modi possibili tutte le fonti di pericolo all’autorità appena costituita. Benché avessero sede in Roma importanti generali il vero conoscitore era Kappler come lo era il console Moellhausen, entrambi in realtà avrebbero preferito procastinare se non evitare del tutto la razzia romana. A Napoli proprio gli ultimi giorni di settembre la popolazione di sua spontanea volontà era riuscita a scacciare le truppe tedesche, un esempio recente e potente che poteva essere emulato anche a Roma. Si pensava anche ad atti resistenziali, plausibili ma in quel momento la resistenza non era ancora ben organizzata, chiaramente Kappler non poteva saperlo e non ultima l’ingombrante presenza del Vaticano. Quindi il suo disegno era quello di mantener l’ordine cittadino il più tranquillo possibile e non dare alcun motivo alla cittadinanza pretesti per reagire all’occupante.
Altro aspetto rilevante è la mancanza di uomini utili per procedere all’operazione di rastrellamento che essendo di grandi proporzioni richiedeva un adeguato numero di militi per poter essere effettuata adeguatamente, Kappler richiese effettivamente dei rinforzi al feldmaresciallo Kesselring ma egli non gli diede un uomo perché erano tutti elementi preziosi per il fronte.
Intanto Kappler frenato dal fatto che non aveva molti soldati a disposizione e che la Pubblica sicurezza romana formata, dagli agenti di PS, dalla PAI e dai Carabinieri, non sarebbe stata d’aiuto e quindi era necessario muoversi senza di loro.

I silenzi del papa
Pio XII rimane ancora sotto osservazione per i suoi silenzi, in particolare gli si critica di non aver fatto nulla per fermare il treno con i deportati, benché siano state accertate prove su gli effettivi aiuti del Vaticano e la recente desecretazione di documenti che riguardano l’operato di Pio XII in quel preciso periodo, è ancora prematuro sbilanciarsi in una direzione.
La resistenza al momento non era ancora organizzata, non intervenne se non successivamente sui giornali clandestini denunciando la vicenda.

Eccidio Fosse Ardeatine 77° anniversario

Oggi 24 marzo ricordiamo i martiri delle Fosse Ardeatine

A seguito dell’attacco gappista in via Rasella del 23 marzo ’44 dove perirono 33 uomini del Polizeiregiment “Bozen”, reparto militare della Ordnungspolizei ovvero corpo di polizia per l’ordine pubblico, i tedeschi decisero di attuare una rappresaglia punitiva con il rapporto di 10 a 1.

Sebbene prima di quell’attacco ve ne erano stati molti altri da parte della resistenza romana, gli stessi tedeschi ne nascondevano le tracce e mantenendo un profilo quanto più basso possibile, per evitare che la popolazione già a loro ostile potesse trovare in questi atti di guerriglia urbana un incoraggiamento che alimentasse possibili rivolte cittadine.

Ma l’attacco di via Rasella rispetto agli altri con quella potente esplsione proprio nel centro di Roma era talmente plateale che non poteva essere più nascosto, era quindi necessario punire la città per l’onta subita.

E’ interessante evidenziareare la rapidissima reazione tedesca.
Dopo le dovute consutazioni la decisione della rappresaglia venne presa nel tardo pomeriggio del 23 marzo stesso, il colonnello Kappler e i suoi sottoposti compilarono una lista a cominciare dai carcerati condannati a mort, ma erano troppi pochi, non bastavano a colmare il numero di 330. Nella fretta della preparazione all’eccidio Kappler aggiunse erroneamente altre 5 persone portando il numero delle vittime a 335.
L’eccidio venne effettuato nella giornata del 24 marzo a delle cave di pozzolana abbandonate sulla via Ardeatina. Nelle grotte gli uomini a gruppetti di 5 venivano legati con le mani dietro le spalle e uccisi a freddo con un colpo alla nuca e si accasciavano sui corpi di quelli uccisi predecentemente. Un’operazione così efferata che risultò difficile anche per gli stessi soldati tedeschi.

La sera del 24 marzo la rappresaglia fatta nel massimo segreto si era conclusa. E’ importante ricordare che la fulminea e rabbiosa reazione aveva impossibilitato qualsiasi forma di mediazione, di ricerca dei colpevoli e tanto meno di un processo.
Solo una pura vendetta tenuta nascosta quanto più possibile, il fetore che proveniva dalle cave però insospettì delle personeche fecero l’orribile scoperta, i tedeschi allora andaro a gettare immondizia per meglio celare la malefatta ma oramai il dramma era stato scoperto.

Dopo la liberazione si procedette allo straziante riconoscimentodelle salme grazie all’imponente lavoro dell’equipe guidata dal professor Ascarelli.
Oggi su quelle cave è stato costruito un mausoleo celebrativo che appena possibile vi invitiamo a visitare.

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