Oggi sabato 16 ottobre ricorre il 78° anniversario del grande rastrellamento degli ebrei romani, allora, nel ’43 era sabato, giorno scelto volutamente dai tedeschi per operare la razzia e per questo divenne poi tristemente noto come il “sabato nero”. I 1259 ebrei vennero catturati principalmente nel quartiere ebraico ma anche in tutta la città, il disegno distruttivo era totale. Trasportati a Palazzo Salviati in via della Lungara 82, sede del Collegio Militare, venne fatta loro una prima selezione che doveva raccogliere solo gli ebrei puri, vennero quindi liberati: meticci, stranieri e le famiglie da matrimoni misti. I rimanenti 1007 vennero deportati al campo di Auschwitz, di essi sopravvissero 15 uomini e una sola donna che corrisponde al nome di Settimia Spizzichino.
La macchina della morte arriva in Italia
L’antisemitismo tedesco elemento fondante del nazionalsocialismo hitleriano dopo un tentativo di espulsione degli ebrei tedeschi dalla Germania che trovò contro le altre nazioni non favorevoli all’emigrazione di massa, vennero tentati altri sistemi di spostamento di massa in altri luoghi e l’utilizzo nei campi di lavoro, portò alla scelta dell’epurazione definitiva con la cosiddetta “soluzione finale”, ovvero lo sterminio degli ebrei, prima con le Einsatzgruppen, truppe specializzate nell’eliminazione che agivano dopo il passaggio dell’esercito regolare. E poi nel gennaio del ’42 con la conferenza di Wannsee presso Berlino, dove si decise per la così detta “soluzione finale”.
Per fare tutto questo oltre ad una efficace macchina propagandistica che giorno dopo giorno istillava l’odio verso gli ebrei tedeschi era necessaria grande organizzazione, potenza industriale e impiego di centinaia di migliaia di militari per far si che tutti si compisse con rapidità ed efficacia. Ed è questo sforzo immane e totale che rende tutto più orrido. Un libro teorizza l’antisemitismo tedesco come la difesa di un popolo nazionalista ma insicuro in cui l’invidia covata verso gli ebrei tedeschi perché si dimostravano più capaci e brillanti, divenne il seme di un odio insopportabile, tale che non era possibile si potesse perpetrare ancora. Ciò che ha cavalcato il nazionalsocialismo è stata l’insicurezza dell’emancipazione.
Il rastrellamento dei carabinieri reali
“Eravamo un ingombro, un ostacolo per i nazifascisti, eravamo testimoni da eliminare, eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi”.
magg. dei Carabinieri Alfredo Vestuti
I Carabinieri Reali erano considerati fedeli alla corona, un dato di fatto evidenziato anche dal loro supporto alla popolazione, o come nei combattimenti di fine settembre a Napoli contro l’invasore tedesco. Invisi anche ai fascisti per l’arresto di Mussolini e agli occhi di Kappler non erano solo inutili ma odiati o quantomeno ritenuti pericolosi ed inaffidabili, e avrebbero potuto anche ostacolare l’imminente operazione di rastrellamento. Si procedette alla cattura tramite un ordine di disarmo del maresciallo Rodolfo Graziani, trasmesso alle caserme romane il 6 ottobre, il giorno dopo reparti di Fallschirmjäger (paracadutisti tedeschi) SS e la PAI (Polizia Africa Italiana) occuparono le caserme, facendo prigionieri i carabinieri, molti però già nella notte fuggirono per darsi alla macchia o entrare nella resistenza militare.
La judenaktion in Italia e a Roma
La Germania nazista che avevano schedato tutti gli ebrei d’Europa, con l’armistizio dell’8 settembre ai territori italiani del centro-nord occupati, si può applicare la judenaktion.La prima comunità rastrellata è quella triestina, il 9 ottobre, giorno del Kippur, gli ebrei catturati vengono temporaneamente portati alla risiera di San Sabba che fungerà da centro di detenzione in generale ed anche per un secondo rastrellamento del 20 gennaio del ’44. Totalmente verranno deportati 710 ebrei triestini, ne torneranno circa una 20ina.
Naturalmente avevano tra i loro obiettivi gli ebrei romani che secondo le stime tedesche erano 8000 ma in realtà siamo vicini ai 13000 ebrei a Roma che chiaramente non vivevano solo nel ghetto ma anche in altre zone della città. Ma Roma non era Trieste, la Santa Sede era comunque un ostacolo all’azione. Infatti i tedeschi consideravano in maniera ossessiva il Vaticano come un nido di spie, un’isola neutrale all’interno dei territori occupati dal Terzo Reich, un’anomalia che si reggeva sul prestigio del papa e sull’interesse della Germania di fronte all’opinione internazionale a non violare la neutralità vaticana. Questa anomalia veniva percepita dai tedeschi come una sfida alla loro supremazia, benché Hitler potesse essere capace di aggredire questa sfida.
Ma i tedeschi avrebbero rispettato il confine tra il Vaticano e Roma?
L’ossessività nello spionaggio è provata con la ricerca di informazioni richiesta a ben cinque organizzazioni del Reich a cominciare dalla Gestapo, dal servizio informazioni del partito nazista, dal servizio segreto militare, alla cancelleria del partito e ai servizi segreti del ministero degli esteri. Non ostante questo controllo di vasta portata la penetrazione nelle stanze vaticane produsse risultati scarni. Risultati migliori furono ottenuti con le intercettazioni telefoniche e radiofoniche.
Un deterrente pesante per l’azione tedesca che temeva possibili ripercussioni popolari, ma di controparte come si ventilava in Vaticano che Hitler aveva pensato di rapire il papa e che ciò era tutt’altro che un pensiero remoto, fatto sta che Pio XII non uscì dal Vaticano per tutto il periodo dell’occupazione nazista. Ci si era anche preoccupati di dipingere una linea bianca ai confini del colonnato berniniano dove le guardie tedesche vigilavano la soglia dei due stati.
La preparazione alla judenrazzia
La caccia agli ebrei non tarda a manifestarsi anche a Roma, subito dopo l’occupazione di Roma il colonnello Kappler riceve da Heinrich Himmler (il n° 2 di Hitler) Reichsführer-SS cioè comandante in capo delle SS, una dispaccio inerente la questione ebraica a Roma. Sempre Himmler il 24 settembre invia una seconda comunicazione più esplicita a Kappler per organizzare il rastrellamento degli ebrei romani.
Il 26 settembre Kappler invia una richiesta di 50 kg di oro, alla comunità ebraica, da consegnare entro 36 ore, pena la deportazione di 200 capifamiglia. Gli ebrei romani ruscirono a consegnare l’enorme quantità di oro in tempo e ciò fece sentire tranquilla la comunità. L’oro fu mandato in Germania nella sede della polizia, recuperato nel dopo guerra si vide che la cassa non venne mai aperta.
Sullo scopo sono diverse le ipotesi, una è un diversivo per nascondere la minaccia, l’altra invece una sostituzione al rastrellamento per convincere la dirigenza che gli ebrei romani potevano essere utili in altra maniera. Detto da Kappler stesso al processo nel dopo guerra, come evidenziato effettivamente egli stesso aveva altre urgenze. Va detto che il rastrellamento è stato un mezzo fallimento, si pensava che potevano essere catturati più ebrei rispetto ai 1000 presi ma giuridicamente Roma città aperta non si potevano bloccare tutte le strade per il rastrellamento, un modo per Kappler di giustificarsi. L’ultimo tentativo di Kappler e di Moellhausen per fermare la razzia furono due telegrammi inviati il 6 e il 7 ottobre da Kappler al Comandante supremo delle SS in Italia Wolf e da Moellhausen al ministro degli esteri von Ribbentrop. Nei telegrammi si proponeva, invece della deportazione, di adoperare gli ebrei nei lavori di fortificazione e si adduceva la risposta negativa di Kesselring per sottolineare come le forze di cui Kappler disponeva non fossero sufficienti all’operazione.
Il 1° di ottobre arriva a Roma Theodor Danneker capitano delle SS con le sue truppe specializzate nel rastrellamento, per organizzare l’operazione e lavorare di concerto con le truppe di Kappler.
In quel momento a Roma erano presenti circa 13000 ebrei, per la scchedatura, i tedeschi avevano delle liste fornite dall’amministrazione italiana. I repubblichini collaborarono alla cattura degli ebrei, in particolare nelle fasi preparatorie ma non nell’azione della razzia perché in fondo non si fidavano degli italiani. La caccia agli ebrei continuò anche dopo il rastrellamento, vennero presi circa altri 1000. Durante l’occupazione tedesca in Italia vennero deportati ed uccisi circa 7594 ebrei italiani (13% di 58.412 totali), i deportati romani erano 2.091, praticamente più di 1/3 di tutti i deportati.
La judenrazzia
Le indicazioni date dalle dirigenze comunitarie agli ebrei di Roma furono quelle di continuare a svolgere la loro vita normale, senza nascondersi. Invano il rabbino capo Israel Zolli, ben consapevole di quanto stava succedendo all’Est, tntò di convicere gli altri ebrei a fuggire e in un clima di tranquillità molti di essi vennero catturati.
L’operazione cominciò poco prima delle 5:30. Il quartiere del vecchio ghetto era circondato,c’erano pattuglie tedesche di guardia a tutte le vie di accesso, in via del Tempio, in via del Progresso, in via del Portico d’Ottavia, in piazza Costaguti, in via di Sant’Angelo in Pescheria, in piazza Mattei, di fronte al teatro di Marcello. Anche se forse, a giudicare da quanti sono riusciti a fuggire da via di Sant’Angelo in Pescheria, da quella parte la rete non dovette essere troppo stretta, probabilmente per mancanza di uomini. Nella Casa, i nazisti non ebbero neanche il bisogno di sfondare il portoncino di legno, che era tutto sfasciato e restava sempre aperto. Entrarono nel cortile a passi pesanti e cominciarono a bussare alle porte col calcio del fucile, là al piano terra, dove si aprivano gli appartamenti e i magazzini. Poi, dal momento che nessuno andava loro ad aprire, sfondarono una porta a spallate, sempre gridando ordini nel vuoto. A quel punto, tutti gli abitanti della Casa erano svegli e tendevano un orecchio atterrito a quanto stava succedendo al piano terra.
Palazzo Costaguti di confine dove il gerarca nascose diversi ebrei.I nazisti avevano con sé le liste del censimento fascista del 1938, che incrociarono probabilmente con gli elenchi dei contribuenti – sembra che si trattasse di quello dei soli contribuenti, non di tutti gli iscritti – sottratti alla Comunità. Gli elenchi del 1938, originariamente in ordine alfabetico, erano stati riorganizzati per quartiere, strade, edifici, interni con la collaborazione della polizia italiana. Dannecker e i suoi stretti collaboratori lavorarono per una settimana, consegnando in caserma i poliziotti italiani per mantenere la più assoluta segretezza, anche se nella sua deposizione al processo Kappler sosterrà di averli mandati a casa per facilitare la fuga di notizie. L’operazione fu condotta esclusivamente dalle SS. Ci sono alcune testimonianze che sostengono di aver visto fascisti con loro, ma la storiografia è concorde nel negarlo, mentre la loro presenza è documentata nella razzia nazista avvenuta a Siena il 6 novembre, sempre ad opera di Dannecker e dei suoi uomini. Le liste usate dagli uomini di Dannecker erano quelle del censimento del 1938 completate dai documenti dell’autodenuncia imposta agli ebrei e dagli aggiornamenti presenti in tutta una serie di istituzioni, la Questura, la Prefettura, la Demorazza, molti commissariati fra cui il Commissariato Campitelli che aveva giurisdizione sul quartiere dell’ex ghetto. Sembra che sia stata usata la copia depositata presso la Questura.
Gli ebrei non vennero presi tutti nel ghetto (40% dentro, 60%) ed appartenenti a diversi ceti sociali di cui la metà appartenevano agli strati medio alti. Quartiere Trieste, Monteverde, Trastevere e Monte Sacro.
Le case del ghetto lasciate dagli ebrei vennero occupate da sfollati o da fascisti
16 ottobre – apparve sul Messaggero un articolo in cui la colpa della guerra, le distruzioni era degli ebrei.
25 ottobre – da parte dell’Osservatore Romano comparve un articolo sulla carità del Santo Padre che accennava in maniera indiretta alla vicenda dicendo che il papa era vicino a tutte le persone senza distinzione di razza, appartenenza e religione, questa fu la risposta pubblica. La razzia fu in trauma per tutta la città, un atto di barbarie perpetrato dall’occupante tedesco, molte ebrei vennero salvate sul momento da altri romani, alcuni dei quali erano fascisti, Kappler sapeva di stare in una città ostile, questo le sue parole: comportamento della popolazione italiana [è stato] chiaramente di resistenza passiva; che in un gran numero di casi singoli si è mutata in prestazioni di aiuto attivo […]. Si poterono osservare chiaramente anche dei tentativi di nascondere i giudei in abitazioni vicine all’irrompere della forza germanica ed è comprensibile che, in parecchi casi, questo tentativi abbiano avuto successo. Durante l’azione non è apparso segno di partecipazione della parte antisemita della popolazione; ma solo una massa amorfa che in qualche caso singolo ha anche cercato si separare la forza [di polizia] dai giudei.
La razzia romana un fallimento premeditato?
Ma anche altri elementi contribuirono ad una razzia che successivamente venne definita da Kappler un fallimento. Gli ufficiali del comando tedesco avvertivano l’ostilità della popolazione e benché tenessero la città sotto scacco era necessario mantenere alta la guardia, muoversi con giudizio ed eliminare in tutti i modi possibili tutte le fonti di pericolo all’autorità appena costituita. Benché avessero sede in Roma importanti generali il vero conoscitore era Kappler come lo era il console Moellhausen, entrambi in realtà avrebbero preferito procastinare se non evitare del tutto la razzia romana. A Napoli proprio gli ultimi giorni di settembre la popolazione di sua spontanea volontà era riuscita a scacciare le truppe tedesche, un esempio recente e potente che poteva essere emulato anche a Roma. Si pensava anche ad atti resistenziali, plausibili ma in quel momento la resistenza non era ancora ben organizzata, chiaramente Kappler non poteva saperlo e non ultima l’ingombrante presenza del Vaticano. Quindi il suo disegno era quello di mantener l’ordine cittadino il più tranquillo possibile e non dare alcun motivo alla cittadinanza pretesti per reagire all’occupante.
Altro aspetto rilevante è la mancanza di uomini utili per procedere all’operazione di rastrellamento che essendo di grandi proporzioni richiedeva un adeguato numero di militi per poter essere effettuata adeguatamente, Kappler richiese effettivamente dei rinforzi al feldmaresciallo Kesselring ma egli non gli diede un uomo perché erano tutti elementi preziosi per il fronte.
Intanto Kappler frenato dal fatto che non aveva molti soldati a disposizione e che la Pubblica sicurezza romana formata, dagli agenti di PS, dalla PAI e dai Carabinieri, non sarebbe stata d’aiuto e quindi era necessario muoversi senza di loro.
I silenzi del papa
Pio XII rimane ancora sotto osservazione per i suoi silenzi, in particolare gli si critica di non aver fatto nulla per fermare il treno con i deportati, benché siano state accertate prove su gli effettivi aiuti del Vaticano e la recente desecretazione di documenti che riguardano l’operato di Pio XII in quel preciso periodo, è ancora prematuro sbilanciarsi in una direzione.
La resistenza al momento non era ancora organizzata, non intervenne se non successivamente sui giornali clandestini denunciando la vicenda.
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