LA DEPORTAZIONE DEI CARABINIERI – 7 OTTOBRE ’43

80° ANNIVERSARIO

La pietra di inciampo in memoria dei carabinieri deportati

Dal 10 settembre Roma è sotto il controllo tedesco, comandante della città è il generale Rainer Stahel, lo resta fino al 30 ottobre quando viene sostituito dal generale Kurt Mälzer.

Al comando della Gestapo (Polizia segreta), SD (intelligence) e SiPo (Polizia di Sicurezza), c’è il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler. Grazie ai suoi agenti sa tutto e conosce l’umore della città, di cui mantene perfetto l’ordine pubblico e di cui il vero dominus.

Con l’Italia in mano nazista viene messa subito in atto la macchina della Judenrazzia ovvero il rastrellamento degli ebrei nelle aree occupate. Napoli appena liberatasi oramai è fuori discussione.

Per Roma invece che ha una numerosa comunità ebraica è in progetto un grande rastrellamento, per il quale è giunto appositamente nella capitale il capitano Theodor Dannecker con la sua squadra di SS Totenkopfverbände, specializzata nella caccia agli ebrei che aveva già operato largamente in Europa.

Kappler è pronto a mettere i suoi uomini in campo ma ha delle riflessioni realistiche che lo frenano.

Ritiene infatti che l’insurrezione napoletana potrebbe essere emulata dai romani. Teme inoltre che i carabinieri possano sabotare il rastrellamento, non sarebbe la prima volta che sotto comando tedesco evitino di collaborare. A Napoli stessa si sono uniti alla guerriglia della popolazione contro l’occupante, come avevano combattuto poche settimane prima a Porta San Paolo. C’è il gesto eroico di Salvo D’acquisto. Carabinieri invisi anche ai fascisti, per l’arresto di Ettore Muti e l’arresto e detenzione dell’ex Duce Benito Mussolini. Per Kappler i carabinieri fedeli al Re e alla patria, possono essere solo d’intralcio e vanno neutralizzati. Per il suo piano trova il supporto del maresciallo Rodolfo Graziani, divenuto nel frattempo Ministro della difesa della Repubblica Sociale. Il 6 ottobre il maresciallo Graziani emette un ordine per il quale entro la notte stessa i carabinieri in servizio nella capitale devono consegnare le armi e rimanere consegnati in caserma. Gli ufficiali dovevano rimanere in consegna presso i propri alloggi.

La mattina del 7 ottobre ottobre ai carabinieri venne fatta la spoliazione delle armi, che un’onta per un militare. L’operazione viene eseguita sotto il controllo dei paracadutisti tedeschi che hanno anche l’ordine di sparare contro chiunque di loro tentasse di evadere. Ma soprattutto a collaborare con i tedeschi ci sono altri italiani, i militi della P.A.I. (Polizia dell’Africa italiana) e le camicie nere del battaglione Mussolini, la loro presenza aggrava la situazione, facendo sentire i carabinieri un profondo tradimento.

Le stime dei carabinieri catturati e di quelli tornati dai campi di concentramento rimane incerta si considera la cifra di 1500 unità. Comunque molti si diedero alla macchia appena saputo dell’ordine riuscendo così a salvarsi dalla deportazione. Ma già dall’8 settembre oltre 4.000 carabinieri si erano dati alla macchia, sottraendosi anche a quella forzata collaborazione istituzionale. Com’era già successo a Napoli i carabinieri liberavano i ragazzi catturati nei rastrellamenti e avvertivano chi doveva essere arrestato. Molti di quelli che si sono dati alla macchia confluiscono poi nel FCRC (Fronte Clandestino Resistenza dei Carabinieri), costituito dal generale Filippo Caruso e operativo non solo a Roma ma anche nell’Italia centrale. Le funzioni riguardano l’attività informativa sui movimenti nemici, e piccole squadre che impiegate operazioni di guerriglia e sabotaggio.

La presenza capillare, il servizio e la tutela che i carabinieri possono dare, viene meno per opera della loro sostituzione con la PAI, portando scompiglio nella città e lasciandola preda dei tedeschi, e delle angherie fasciste.

Roma dopo l’8 settembre ’43: la nascita della resistenza e l’occupazione tedesca della città.

Premessa

L’8 settembre è una data fatidica per l’Italia e per lo scenario bellico europeo, Roma è nel caos, le armate tedesche occupano l’Urbe rapidamente e il susseguirsi degli eventi nei nove mesi ci restituisce una visione drammatica ed intensa della quotidianetà. Come controparte all’occupazione si innescano e conclamano diversi fenomeni resistenziali: la resistenza armata e il lavoro di intelligence di quella militare sono le forme attive della guerriglia urbana. La popolazione stanca della guerra, invoca l’arrivo delle truppe americane ma spesso mette la propria vita a rischio, attuando una resistenza passiva che come può, aiuta, nasconde e sopratutto resta in silenzio. Anche il Vaticano apre le porte dei conventi e delle chiese a chi ne abbisogna, zone extraterritoriali che in lacuni casi vengono violate.
Prima della nascita della resistenza romana, vanno certamente segnalate le quattro giornate di Napoli, episodio importante con un sapore risorgimentale e – diversamente da Roma – spontaneo.
I tedeschi partendo dai territori occupati più a sud vogliono raccogliere forzatamente persone per mano d’opera da portare più a nord o direttamente in Germania. I brutali rastrellamenti della Wehrmacht non fecero altro che innescare una forte tensione, la popolazione e i militari italiani, esausti per questi comportamenti estremi, si ribellano con veemenza. In pochi scacciano gli occupanti dalla città partenopea.


Il CLN e la nascita della resistenza romana

Il 9 pomeriggio in un appartamento di via Adda disabitato, appartenente all’editore Einaudi si riuniscono segretamente i rappresentanti dei principali partiti politici che erano stati ricostituiti dopo la caduta del fascismo. Presenti: Ivanoe Bonomi (Partito Democratico del Lavoro, Presidente), Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana) Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola (Partito Comunista Italiano), Pietro Nenni e Giuseppe Romita (Partito Socialista Italiano), Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea (Partito d’Azione), Meuccio Ruini (Partito Democratico del Lavoro), Alessandro Casati (Partito Liberale Italiano). Alle ore 14:30 firmano la seguente mozione:

«Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale, per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni».

Nasce così il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), organizzazione politica e militare costituita da tutti i partiti dell’arco costituzionale soppressi precedentemente dal fascismo. Il CLN è il primo esempio di resitenza organizzata a cui ne faranno seguito altri nell’Italia del centro nord.
Ma a Roma non è l’unico blocco che vuole combattere l’occupante, anche i militari e i carabinieri si organizzano con una propria resistenza ma legata alle direttive di Badoglio e del re, adotta un comportamento attendista ma anche di intelligence.
Vi sono anche focolai resistenziali indipendenti dal CLN, come la brigata partigiana di Bandiera Rossa affiliata al MCd’I (Movimento Comunista d’Italia), che in origine tenta un avvicinamento con il PCI tramite Antonello Trombadori, ma che si risolve con un nulla di fatto per divergenze politiche.

Dopo Roma, la resistenza prende piede nel centro nord ovvero nella Repubblica di Salò, ramificandosi nelle città e nei territori. A Milano il 7 febbraio 1944 nasce il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), raccogliendo i partiti che avevano già costituito una prima cellula resistenziale. E’ il CLN romano che autorizza la sua costituzione e investe il CLNAI con la carica di “governo straordinario del Nord”, in rappresentanza del governo italiano. Il CLNAI nato come espansione del CLN, con il tempo raccoglie a se sempre più comitati regionali dell’Italia settentrionale, divenendone il centro di coordinamento.

Finita la guerra i comitati proseguono l’attività a fianco degli alleati per la ricostituzione del paese, nel febbraio del 1946 il CLNAI viene assorbito dal CLN centrale; il 21 giugno dello stesso anno, prima delle elezioni, i comitati vengono sciolti definitvamente.

Bandiera francese con al centro la croce di Lorena, simbolo della resistenza

Al di là delle singole identità la resistenza romana e anche quella italiana, non avranno capacità ed organizzazione come la Résistance Intérieure Française (Resistenza Interna Francese), chiamata in madrepatria semplicemente la «Résistance». Il 18 giugno del 1940 a pochi giorni dall’Operazione Dynamo, dai microfoni di Radio Londra, il generale Charles De Gaulle incita i compratrioti ad opporsi contro la violenta ondata nazista, da quel giorno nasce la resistenza francese, che per via della complessa mappatura politica della nazione c la presenza del governo di Vichy, ha un difficile e lento avvio, ma diviene la prima grande organizzazione clandestina europea.

Alla resistenza francese si affianca il S.O.E. (Secret Operations Executive), l’Esecutivo Operazioni Speciali, organizzazione britannica nata il 19 luglio del 1940 con il benestare di Whinston Churchill, con lo scopo di supportare i movimenti clandestini antinazisti. Quello francese infatti non sarà l’unico, all’invasione dei territori tedeschi, seguiva la costituzione di una resistenza.

Stemma del S.O.E.

I tedeschi non perdono tempo, organizzano contro la resistenza francese ma anche le altre, una caccia spietata ai componenti e quando necessario non risparmiano violente rappresaglie sulla popolazione inerme.

In Italia il S.O.E. avrà contatti con la resistenza del nord, mentre a Roma la resistenza entra in contatto con l’organizzazione statunitense, omologa di quella britannica, si tratta dell’O.S.S.(Office of Strategic Service).

Stemma del O.S.S.

In questo contesto è importante sottolineare la figura di un giovane e giornalista americano che aveva precedentemente studiato e vissuto a Roma, è Peter Tompkins che arruolato nelle file dell’O.S.S. torna a Roma segretamente pochi giorni prima dello sbarco di Nettunia (oggi Anzio e Nettuno). La sua fuzione è quella di fare radio con le truppe sbarcate sul litorale anziate.

Uno dei primi episodi conosciuti avviene il 19 settembre, una settimana dopo che Roma è ufficialmente in mano tedesca. In località Poggio Mirteto un gruppo partigiano, guidato da Giorgio Labò e Vincenzo Toschi, fa saltare in aria un treno carico di munizioni.

Nelle settimane successive si moltiplicheranno gli episodi contro i tedeschi in città, attacchi rapidi per destabilizzare l’avversario, possono essere uccisioni, sabotaggi o anche furti di armi e munizioni per rifornire la resistenza.

17 ottobre per la prima volta vengono usati i chiodi a quattro punte per bloccare i convogli che attraverso le vie consolari portano i rifornimenti alle truppe del fronte.

15 novembre – Prendendo spunto dalla «Maquis» la più longeva resistenza francese e sotto l’egida del Partito Comunista vegono fondati i GAP (Gruppi di Azione Patriottica) centrali, squadre di 4/5 uomini che sommatesi a gruppi di tre formano un distaccamento.

I GAP si riveleranno tra le formazioni di combattenti partigiani più conosciute e meglio organizzate tra tutte quelle romane.

Una delle azioni più spettacolari avviene la notte tra il 20 ed il 21 dicembre, le brigate dei Castelli guidate da Pino Levi Cavaglione, con il supporto del Fronte Militare Clandestino del colonnello Montezemolo che fornisce esplosivo e informazioni sui treni, fanno saltare in aria, quasi contemporaneamente, un treno carico di esplosivi sulla Roma-Cassino, all’altezza di Labico, e il ponte Sette Luci della ferrovia Roma-Formia, mentre passa un treno carico di militari tedeschi, provocando circa 400 tra morti e feriti.
All’epoca l’idea dell’azione per prudenza viene tenuta segreta e il Cln evita di informare la stampa clandestina. Vista l’entità dell’azione, i tedeschi credono addirittura che siano stati i paracadutisti britannici, perché non ritengono i partigiani italiani capaci di compiere azioni belliche simili.

L’occupazione tedesca di Roma e la macchina repressiva

Per il feldmaresciallo Kesserling, trovare Roma praticamente indifesa è un lascito inatteso da parte italiana, ne approfitta per prenderne subito il controllo. E’ vero che trova sul suo avanzamanto una prima forma di resistenza molto accanita, ma quei pochi militari e civili, poco possono contro l’elevato numero di truppe tedesche motorizzate. La battaglia del 10 settembre a Porta San Paolo, mette facilmente fine a quel priomordiale impulso di resistenza.

La Germania nazista aveva considerato una possibile débâcle del suo alleato italiano, che avviene il 25 luglio con la caduta del fascismo. Per questo evento era stata progettata l’Operazione Alarico con lo scopo di creare sul suolo italiano un fronte difensivo contro l’ascesa alleata. Il 28 luglio l piano «Alarico» vine sostituito dalla più estesa Operazione Achse che contempla anche i Balcani, il Mare Egeo e la Francia meridionale. Il piano Achse entra in atto l’8 settembre, in quel momento la linea di fronte è sotto Salerno che il giorno dopo sarà teatro dello sbarco alleato, a fine mese la linea di fronte è retrocessa a Cassino. In questo momento da parte tedesca è in corso una veloce riorganizzazione delle difese del suolo italiano sotto il proprio dominio, sfruttando la morfologia del terreno italiano, collinoso, montuoso, lungo e stretto. Grazie a queste caratteristiche è facile creare delle linee difensive che controllano il territorio anche con poche poche risorse.

Dal 4 ottobre si lavora febbrilmente per la costruzione della Linea Gustav (o Linea Invernale), parallelamente più a Nord all’altezza dell’Appennino tosco-emiliano, si avviano i lavori per la costruzione della Linea Gotica.

Linea Gustav

Con l’inizio della guerra molti uomini tedeschi vengono chiamati alle armi, la forza lavoro deve essere rimpiazzata per continuare la produzione nelle fabbriche. Viene attuato lo «zwangsarbeit» ovvero il lavoro forzato, sfruttando la popolazione delle nazioni occupate. Inizialmente si puntava sulla presentazione volontaria dei lavoratori che avrebbero dovuto essere attratti in Germania da buoni salari, ma a partire dal 1943 vengono adottate con intensità crescente misure coercitive: arresti, rastrellamenti e deportazioni di civili e dal ricorso ai prigionieri di guerra e dei campi di concentramento per sopperire al fabbisogno di manodopera. Come la storiografia ha da tempo chiarito, lo sfruttamento di tale manodopera da parte della Germania fu parte integrante dei piani di dominio sul continente europeo elaborati dal Terzo Reich, il quale doveva prevalere sull’intera Europa dal punto di vista bellico, politico, razziale ed economico.

Dopo l’8 settembre, anche l’Italia è oggetto del zwangsarbeit: per recuperare la mano d’opera vengono usate le Einsatzgruppen, unità operative speciali più tristemente conosciute per le loro operazioni di sterminazione prima dell’avvento dei sistemi di eliminazione di massa organizzati nei campi specifici.

Servono 90.000 uomini, nelle città occupate, gli appelli vanno praticamente tutti a vuoto, anche a Roma le chiamate di fine settembre sono un fiasco. I tedeschi decidono di usare dei sistemi di raccolta coercitivi, il 27 ottobre vengono rastrellati i quartieri di Montesacro, Tufello e Valmelaina. 1.000 uomini vengono fatti marciare sulla Nomentana, di questi 364 uomini vengono inviati al lavoro in Germania. Le ingerenze tedesche avvelenano il clima cittadino e accrescono la diffidenza della popolazione nell’ccupante e del loro “cameratismo del lavoro.”

Uno dei manifesti di propaganda per invitare gli italiani a lavorare in Germania


A questo nuovo equilibrio si sommano la caccia agli ebrei che trova a Roma il suo apice con il rastrellamento del 16 ottobre e con la lotta tenace contro la nascente resistenza, i tedeschi, come nelle altre aree di occupazione, creano un motore repressivo, qui che viene affidato principalmente al colonnello delle SS Herbert Kappler comandante in capo della SiPo, ovvero la polizia tedesca a Roma, che viene affiancata dal prezioso sistema informativo di spionaggio che si rivela l’arma più efficace per decimare i membri della resistenza romana. Sulla lista di Kappler il primo da catturare è il colonello Giuseppe Montezemolo, fedele monarchico e avulso al fascismo, dopo l’8 settembre prende la guida del FCRM (Fronte Clandestino Resistenza Militare). Tenta anche una collaborazione con l’ala il CLN, grazie anche al suo essere una persona intergerrima e degna di stima. Ma i tedeschi gli sono con il fiato sul collo, il 25 gennaio 1944 viene catturato tramite una soffiata. Verrà poi portato a via Tasso e torturato, morirà trucidto alla cave ardeatine.

Anche i fascisti contribuiscono nella lotta contro la resistenza, con una squadra speciale della polizia meglio conosciuta come banda Koch, così chiamata dal nome del suo capo, Pietro Koch. Una banda di uomini violenti pronti a tutto ed a efferati interrogatori purr di estorcere utili informazioni. Un’altra squadra speciale di polizia è quella che viene nominata Banda Pollastrini, con base logistica palazzo Braschi. Si tratta di un manipolo di fascisti che seminano il panico in città con rapine e violenze gratuite. Le loro azioni minano l’ordine pubblico, il comando tedesco decide di scioglierne l’attività pericolosa e disturbante.

Pietro Koch (al centro) e la sua banda

Roma dunque vive una nuova stagione, lontano dal fronte ma in piena guerra, dove le feste al Quartiere Parioli con spesso presenti ufficiali tedeschi che sembrano essere senza tempo, si contrappone una città inghiottita dalla misera con i prezzi della borsa nera alle stelle e i razionamenti annonari.

Roma, fila al forno per il pane razionato

Per le strade – specialmente gli uomini – possono essere fermati per controlli. La popolazione sfiduciata attende l’arrivo degli alleati, la resistenza prova ad accendere scintille di sommossa in essa ma senza mai avere una risposta. Comunque, seppur meno organizzata della resistenza francese, a quella romana e italiana è stata riconosciuta una valenza sia da parte degli alleati che dai tedeschi stessi, che ammisero di come con i repentini e continui attacchi, le squadre partigiane divennero ben presto una spina nel fianco, costringendoli a mantenere sempre alta la guardia per tutto il periodo dell’occupazione. E i tedeschi sapevano che stavano occupando una città a loro ostile. Nel sottobosco di questa rete di muovono spie e delatori, che si rivelano molto efficienti se non determinati, specie da parte tedesca, infliggendo duri colpi alla resistenza.

L’unica figura che rende Roma diversa dalle altre città è quella del papa Pio XII che con il Vaticano in quel momento sembra essere l’unico baluardo alla tragedia del disastriso conflitto. E’ lui che dopo i due grandi bombardamenti di luglio ed agosto, va tra la folla portandogli conforto, tanto da essere riconosciuto come il «defensor civitatis» e come lui l’unica altra figura che va a San Lorenzo dopo i bombardamenti a portare conforto è principessa Maria Josè.

Il sabato nero, ovvero la razzia del 16 ottobre

Oggi sabato 16 ottobre ricorre il 78° anniversario del grande rastrellamento degli ebrei romani, allora, nel ’43 era sabato, giorno scelto volutamente dai tedeschi per operare la razzia e per questo divenne poi tristemente noto come il “sabato nero”. I 1259 ebrei vennero catturati principalmente nel quartiere ebraico ma anche in tutta la città, il disegno distruttivo era totale. Trasportati a Palazzo Salviati in via della Lungara 82, sede del Collegio Militare, venne fatta loro una prima selezione che doveva raccogliere solo gli ebrei puri, vennero quindi liberati: meticci, stranieri e le famiglie da matrimoni misti. I rimanenti 1007 vennero deportati al campo di Auschwitz, di essi sopravvissero 15 uomini e una sola donna che corrisponde al nome di Settimia Spizzichino.

La macchina della morte arriva in Italia
L’antisemitismo tedesco elemento fondante del nazionalsocialismo hitleriano dopo un tentativo di espulsione degli ebrei tedeschi dalla Germania che trovò contro le altre nazioni non favorevoli all’emigrazione di massa, vennero tentati altri sistemi di spostamento di massa in altri luoghi e l’utilizzo nei campi di lavoro, portò alla scelta dell’epurazione definitiva con la cosiddetta “soluzione finale”, ovvero lo sterminio degli ebrei, prima con le Einsatzgruppen, truppe specializzate nell’eliminazione che agivano dopo il passaggio dell’esercito regolare. E poi nel gennaio del ’42 con la conferenza di Wannsee presso Berlino, dove si decise per la così detta “soluzione finale”.
Per fare tutto questo oltre ad una efficace macchina propagandistica che giorno dopo giorno istillava l’odio verso gli ebrei tedeschi era necessaria grande organizzazione, potenza industriale e impiego di centinaia di migliaia di militari per far si che tutti si compisse con rapidità ed efficacia. Ed è questo sforzo immane e totale che rende tutto più orrido. Un libro teorizza l’antisemitismo tedesco come la difesa di un popolo nazionalista ma insicuro in cui l’invidia covata verso gli ebrei tedeschi perché si dimostravano più capaci e brillanti, divenne il seme di un odio insopportabile, tale che non era possibile si potesse perpetrare ancora. Ciò che ha cavalcato il nazionalsocialismo è stata l’insicurezza dell’emancipazione.

Il rastrellamento dei carabinieri reali
Eravamo un ingombro, un ostacolo per i nazifascisti, eravamo testimoni da eliminare, eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi”.

magg. dei Carabinieri Alfredo Vestuti

I Carabinieri Reali erano considerati fedeli alla corona, un dato di fatto evidenziato anche dal loro supporto alla popolazione, o come nei combattimenti di fine settembre a Napoli contro l’invasore tedesco. Invisi anche ai fascisti per l’arresto di Mussolini e agli occhi di Kappler non erano solo inutili ma odiati o quantomeno ritenuti pericolosi ed inaffidabili, e avrebbero potuto anche ostacolare l’imminente operazione di rastrellamento. Si procedette alla cattura tramite un ordine di disarmo del maresciallo Rodolfo Graziani, trasmesso alle caserme romane il 6 ottobre, il giorno dopo reparti di Fallschirmjäger (paracadutisti tedeschi) SS e la PAI (Polizia Africa Italiana) occuparono le caserme, facendo prigionieri i carabinieri, molti però già nella notte fuggirono per darsi alla macchia o entrare nella resistenza militare.

La judenaktion in Italia e a Roma
La Germania nazista che avevano schedato tutti gli ebrei d’Europa, con l’armistizio dell’8 settembre ai territori italiani del centro-nord occupati, si può applicare la judenaktion.La prima comunità rastrellata è quella triestina, il 9 ottobre, giorno del Kippur, gli ebrei catturati vengono temporaneamente portati alla risiera di San Sabba che fungerà da centro di detenzione in generale ed anche per un secondo rastrellamento del 20 gennaio del ’44. Totalmente verranno deportati 710 ebrei triestini, ne torneranno circa una 20ina.

Naturalmente avevano tra i loro obiettivi gli ebrei romani che secondo le stime tedesche erano 8000 ma in realtà siamo vicini ai 13000 ebrei a Roma che chiaramente non vivevano solo nel ghetto ma anche in altre zone della città. Ma Roma non era Trieste, la Santa Sede era comunque un ostacolo all’azione. Infatti i tedeschi consideravano in maniera ossessiva il Vaticano come un nido di spie, un’isola neutrale all’interno dei territori occupati dal Terzo Reich, un’anomalia che si reggeva sul prestigio del papa e sull’interesse della Germania di fronte all’opinione internazionale a non violare la neutralità vaticana. Questa anomalia veniva percepita dai tedeschi come una sfida alla loro supremazia, benché Hitler potesse essere capace di aggredire questa sfida.
Ma i tedeschi avrebbero rispettato il confine tra il Vaticano e Roma?

L’ossessività nello spionaggio è provata con la ricerca di informazioni richiesta a ben cinque organizzazioni del Reich a cominciare dalla Gestapo, dal servizio informazioni del partito nazista, dal servizio segreto militare, alla cancelleria del partito e ai servizi segreti del ministero degli esteri. Non ostante questo controllo di vasta portata la penetrazione nelle stanze vaticane produsse risultati scarni. Risultati migliori furono ottenuti con le intercettazioni telefoniche e radiofoniche.
Un deterrente pesante per l’azione tedesca che temeva possibili ripercussioni popolari, ma di controparte come si ventilava in Vaticano che Hitler aveva pensato di rapire il papa e che ciò era tutt’altro che un pensiero remoto, fatto sta che Pio XII non uscì dal Vaticano per tutto il periodo dell’occupazione nazista. Ci si era anche preoccupati di dipingere una linea bianca ai confini del colonnato berniniano dove le guardie tedesche vigilavano la soglia dei due stati.

La preparazione alla judenrazzia
La caccia agli ebrei non tarda a manifestarsi anche a Roma, subito dopo l’occupazione di Roma il colonnello Kappler riceve da Heinrich Himmler (il n° 2 di Hitler) Reichsführer-SS cioè comandante in capo delle SS, una dispaccio inerente la questione ebraica a Roma. Sempre Himmler il 24 settembre invia una seconda comunicazione più esplicita a Kappler per organizzare il rastrellamento degli ebrei romani.
Il 26 settembre Kappler invia una richiesta di 50 kg di oro, alla comunità ebraica, da consegnare entro 36 ore, pena la deportazione di 200 capifamiglia. Gli ebrei romani ruscirono a consegnare l’enorme quantità di oro in tempo e ciò fece sentire tranquilla la comunità. L’oro fu mandato in Germania nella sede della polizia, recuperato nel dopo guerra si vide che la cassa non venne mai aperta.
Sullo scopo sono diverse le ipotesi, una è un diversivo per nascondere la minaccia, l’altra invece una sostituzione al rastrellamento per convincere la dirigenza che gli ebrei romani potevano essere utili in altra maniera. Detto da Kappler stesso al processo nel dopo guerra, come evidenziato effettivamente egli stesso aveva altre urgenze. Va detto che il rastrellamento è stato un mezzo fallimento, si pensava che potevano essere catturati più ebrei rispetto ai 1000 presi ma giuridicamente Roma città aperta non si potevano bloccare tutte le strade per il rastrellamento, un modo per Kappler di giustificarsi. L’ultimo tentativo di Kappler e di Moellhausen per fermare la razzia furono due telegrammi inviati il 6 e il 7 ottobre da Kappler al Comandante supremo delle SS in Italia Wolf e da Moellhausen al ministro degli esteri von Ribbentrop. Nei telegrammi si proponeva, invece della deportazione, di adoperare gli ebrei nei lavori di fortificazione e si adduceva la risposta negativa di Kesselring per sottolineare come le forze di cui Kappler disponeva non fossero sufficienti all’operazione.
Il 1° di ottobre arriva a Roma Theodor Danneker capitano delle SS con le sue truppe specializzate nel rastrellamento, per organizzare l’operazione e lavorare di concerto con le truppe di Kappler.

In quel momento a Roma erano presenti circa 13000 ebrei, per la scchedatura, i tedeschi avevano delle liste fornite dall’amministrazione italiana. I repubblichini collaborarono alla cattura degli ebrei, in particolare nelle fasi preparatorie ma non nell’azione della razzia perché in fondo non si fidavano degli italiani. La caccia agli ebrei continuò anche dopo il rastrellamento, vennero presi circa altri 1000. Durante l’occupazione tedesca in Italia vennero deportati ed uccisi circa 7594 ebrei italiani (13% di 58.412 totali), i deportati romani erano 2.091, praticamente più di 1/3 di tutti i deportati.

La judenrazzia
Le indicazioni date dalle dirigenze comunitarie agli ebrei di Roma furono quelle di continuare a svolgere la loro vita normale, senza nascondersi. Invano il rabbino capo Israel Zolli, ben consapevole di quanto stava succedendo all’Est, tntò di convicere gli altri ebrei a fuggire e in un clima di tranquillità molti di essi vennero catturati.
L’operazione cominciò poco prima delle 5:30. Il quartiere del vecchio ghetto era circondato,c’erano pattuglie tedesche di guardia a tutte le vie di accesso, in via del Tempio, in via del Progresso, in via del Portico d’Ottavia, in piazza Costaguti, in via di Sant’Angelo in Pescheria, in piazza Mattei, di fronte al teatro di Marcello. Anche se forse, a giudicare da quanti sono riusciti a fuggire da via di Sant’Angelo in Pescheria, da quella parte la rete non dovette essere troppo stretta, probabilmente per mancanza di uomini. Nella Casa, i nazisti non ebbero neanche il bisogno di sfondare il portoncino di legno, che era tutto sfasciato e restava sempre aperto. Entrarono nel cortile a passi pesanti e cominciarono a bussare alle porte col calcio del fucile, là al piano terra, dove si aprivano gli appartamenti e i magazzini. Poi, dal momento che nessuno andava loro ad aprire, sfondarono una porta a spallate, sempre gridando ordini nel vuoto. A quel punto, tutti gli abitanti della Casa erano svegli e tendevano un orecchio atterrito a quanto stava succedendo al piano terra.
Palazzo Costaguti di confine dove il gerarca nascose diversi ebrei.I nazisti avevano con sé le liste del censimento fascista del 1938, che incrociarono probabilmente con gli elenchi dei contribuenti – sembra che si trattasse di quello dei soli contribuenti, non di tutti gli iscritti – sottratti alla Comunità. Gli elenchi del 1938, originariamente in ordine alfabetico, erano stati riorganizzati per quartiere, strade, edifici, interni con la collaborazione della polizia italiana. Dannecker e i suoi stretti collaboratori lavorarono per una settimana, consegnando in caserma i poliziotti italiani per mantenere la più assoluta segretezza, anche se nella sua deposizione al processo Kappler sosterrà di averli mandati a casa per facilitare la fuga di notizie. L’operazione fu condotta esclusivamente dalle SS. Ci sono alcune testimonianze che sostengono di aver visto fascisti con loro, ma la storiografia è concorde nel negarlo, mentre la loro presenza è documentata nella razzia nazista avvenuta a Siena il 6 novembre, sempre ad opera di Dannecker e dei suoi uomini. Le liste usate dagli uomini di Dannecker erano quelle del censimento del 1938 completate dai documenti dell’autodenuncia imposta agli ebrei e dagli aggiornamenti presenti in tutta una serie di istituzioni, la Questura, la Prefettura, la Demorazza, molti commissariati fra cui il Commissariato Campitelli che aveva giurisdizione sul quartiere dell’ex ghetto. Sembra che sia stata usata la copia depositata presso la Questura.
Gli ebrei non vennero presi tutti nel ghetto (40% dentro, 60%) ed appartenenti a diversi ceti sociali di cui la metà appartenevano agli strati medio alti. Quartiere Trieste, Monteverde, Trastevere e Monte Sacro.
Le case del ghetto lasciate dagli ebrei vennero occupate da sfollati o da fascisti

16 ottobre – apparve sul Messaggero un articolo in cui la colpa della guerra, le distruzioni era degli ebrei.
25 ottobre – da parte dell’Osservatore Romano comparve un articolo sulla carità del Santo Padre che accennava in maniera indiretta alla vicenda dicendo che il papa era vicino a tutte le persone senza distinzione di razza, appartenenza e religione, questa fu la risposta pubblica. La razzia fu in trauma per tutta la città, un atto di barbarie perpetrato dall’occupante tedesco, molte ebrei vennero salvate sul momento da altri romani, alcuni dei quali erano fascisti, Kappler sapeva di stare in una città ostile, questo le sue parole: comportamento della popolazione italiana [è stato] chiaramente di resistenza passiva; che in un gran numero di casi singoli si è mutata in prestazioni di aiuto attivo […]. Si poterono osservare chiaramente anche dei tentativi di nascondere i giudei in abitazioni vicine all’irrompere della forza germanica ed è comprensibile che, in parecchi casi, questo tentativi abbiano avuto successo. Durante l’azione non è apparso segno di partecipazione della parte antisemita della popolazione; ma solo una massa amorfa che in qualche caso singolo ha anche cercato si separare la forza [di polizia] dai giudei.

La razzia romana un fallimento premeditato?
Ma anche altri elementi contribuirono ad una razzia che successivamente venne definita da Kappler un fallimento. Gli ufficiali del comando tedesco avvertivano l’ostilità della popolazione e benché tenessero la città sotto scacco era necessario mantenere alta la guardia, muoversi con giudizio ed eliminare in tutti i modi possibili tutte le fonti di pericolo all’autorità appena costituita. Benché avessero sede in Roma importanti generali il vero conoscitore era Kappler come lo era il console Moellhausen, entrambi in realtà avrebbero preferito procastinare se non evitare del tutto la razzia romana. A Napoli proprio gli ultimi giorni di settembre la popolazione di sua spontanea volontà era riuscita a scacciare le truppe tedesche, un esempio recente e potente che poteva essere emulato anche a Roma. Si pensava anche ad atti resistenziali, plausibili ma in quel momento la resistenza non era ancora ben organizzata, chiaramente Kappler non poteva saperlo e non ultima l’ingombrante presenza del Vaticano. Quindi il suo disegno era quello di mantener l’ordine cittadino il più tranquillo possibile e non dare alcun motivo alla cittadinanza pretesti per reagire all’occupante.
Altro aspetto rilevante è la mancanza di uomini utili per procedere all’operazione di rastrellamento che essendo di grandi proporzioni richiedeva un adeguato numero di militi per poter essere effettuata adeguatamente, Kappler richiese effettivamente dei rinforzi al feldmaresciallo Kesselring ma egli non gli diede un uomo perché erano tutti elementi preziosi per il fronte.
Intanto Kappler frenato dal fatto che non aveva molti soldati a disposizione e che la Pubblica sicurezza romana formata, dagli agenti di PS, dalla PAI e dai Carabinieri, non sarebbe stata d’aiuto e quindi era necessario muoversi senza di loro.

I silenzi del papa
Pio XII rimane ancora sotto osservazione per i suoi silenzi, in particolare gli si critica di non aver fatto nulla per fermare il treno con i deportati, benché siano state accertate prove su gli effettivi aiuti del Vaticano e la recente desecretazione di documenti che riguardano l’operato di Pio XII in quel preciso periodo, è ancora prematuro sbilanciarsi in una direzione.
La resistenza al momento non era ancora organizzata, non intervenne se non successivamente sui giornali clandestini denunciando la vicenda.

17 aprile 1944 – Il rastrellamento del Quadraro

All’alba del 17 aprile 1944 parte l’Operazione Balena, il grande ed ultimo rastrellamento fatto a Roma dai tedeschi per procacciarsi mano d’opera da mandare alle industrie e campi di lavoro in madrepatria.

Voluto dal colonnello Kappler per sgominare il “nido di vespe” ovvero la grande sacca resistenziale che si nascondeva nella labirintica periferia del Quadraro e che dava filo da torcere ai tedeschi occupanti con continue azioni, saccheggi, e sabotaggi. Daltronte geograficamente il quartiere perferico è incastonato tra le vie consolari che i tedeschi stessi utilizzavano frequentemente per portare rifornimenti e truppe al fronte. L’inasrpimento di Kappler era ance dovuto alla crescente tensione sul fronte della linea Gusta a Cassino, benché gli alleati erano bloccati da mesi, il logorio della lunga battaglia segnava i volti di tutti, i tedeschi sapevano che prima o poi sarebbe arrivata la grande offensiva e che srebbero stati costretti ad arretrare. Infatti dopo circa un mese dal rastrellamento, l’11 maggio scatta l’Operazione Diadem che porterà allo sfondamento della Linea Gustav e aprirà la strada per l’avanzata finale verso Roma.

Già prima del rastrellamento vennero prese misure molto dtrastiche nei confronti della popolazione come anticipare il coprifuoco serale alle ore 16:00, il crescendo di tensione era paplabile e con ogni probabilità la nota sparatoria del lunedi 10 aprile, quel di Pasquetta in cui vennero uccisi tre soldati tedesci alla trattoria in località Cecafumo in cui era coinvolto il Gobbo del Quarticciolo anche se non direttamente, divenne il pretesto per avviare l’Operazione Balena.

La mattina all’alba truppe e camion circondano il quartiere del Quadraro, sbarrando tutte le strade, nella mattinata vengono catturate più di mille persone che vengono portate al cinema Quadraro (all’oggi demolito) per un primo riconoscimento ed idoneità. Scartati gli inadatti per età e/o minima robustezza vengono selezionate 947 persone, smistate a Cinecittà e poi deportate in Germania.
Ricordiamo ancora il recentemente scoparso Sisto Quaranta come uomo simboo di tutti quelli che ritornarono come poterono dalla Germania e a cui l’artista Diavù ha dedicato un murales, uno dei tanti che si possno trovare al Quadraro in memoria di questa vicenda.

Il giorno 17 aprile del 2004, il Quadraro, è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile.

Medaglia d’oro al merito civile

«Centro dei più attivi e organizzati dell’antifascismo, il quartiere Quadraro fu teatro del più feroce rastrellamento da parte delle truppe naziste. L’operazione, scattata all’alba del 17 aprile 1944 e diretta personalmente dal maggiore Kappler, si concluse con la deportazione in Germania di circa un migliaio di uomini, tra i 18 e i 60 anni, costretti a lavorare nelle fabbriche in condizioni disumane. Molti di essi vennero uccisi nei campi di sterminio, altri, fuggiti per unirsi alle formazioni partigiane, caddero in combattimento. Fulgida testimonianza di resistenza all’oppressore ed ammirevole esempio di coraggio, di solidarietà e di amor patrio.»
—17 aprile 1944/Quartiere Quadraro – Roma

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora