Tempo fa, con un buon amico appassionato di street art, facemmo una passeggiata fotografica per il Pigneto. Da qualche anno il quartiere è diventato trendy, alla moda, e si è popolato di birrerie e altri locali di genere.
E’ il luogo che mi ha visto bambino. E’ il luogo in cui la famiglia di mia madre ha vissuto dagli anni ’20 agli anni ’50 del XX° secolo. Abitavamo in Circonvallazione Casilina. Le finestre della casa si affacciavano sulla strada e sulla ferrovia. Quando ebbi il morbillo, i miei giorni si dividevano tra la lettura dei libri di Salgari e le ore passate alla finestra a contare i vagoni dei treni merci.
Le strade del Pigneto, da fuori Porta Maggiore all’Acqua Bullicante, le ho percorse in lungo e in largo. Ricordo le “vecchie”, sedute in strada nei mesi caldi, raccontare le storie della guerra, del bombardamento, dei mitragliamenti ai treni, del suono degli stivali dei Tedeschi. A pochi metri dalla vecchia casa c’è Via Raimondo Montecuccoli, luogo iconico del neo realismo italiano: chi non ricorda una splendida Anna Magnani inseguire la camionetta tedesca che portava via il suo uomo e falciata dal fuoco degli occupanti?
Eppure non avevo mai visto, o non ne conservavo ricordo, una targa in Via Ettore Giovenale che ricorda un ragazzo come tanti, che come tanti ha combattuto in Africa una guerra che non voleva. Classe 1920, Ferdinando Persiani, operaio, dopo l’8 settembre torna avventurosamente a casa, nel suo Pigneto. Di idee socialiste, come tanti altri suoi coetanei non amava il regime ma non aveva fatto una scelta di resistenza attiva. Ma non era neanche disposto a ingoiare qualunque rospo. Si era messo nei guai una prima volta per essersi rifiutato, insieme ad altri, di fare il saluto fascista come imposto da una squadraccia entrata nel bar Necci, vicino a casa sua. Ci fu una rissa e lui e suoi compagni sfuggirono per un pelo all’arresto. In quel clima pesante, nei mesi successivi andò maturando una scelta di lotta partigiana e si mise in contatto con elementi attivi della Resistenza nel quartiere. Ma prima di iniziare la lotta armata fu arrestato nel medesimo bar Necci della rissa con i Fascisti. Ad arrestarlo non furono gli occupanti Tedeschi ma i questurini italianissimi del Commissariato di Porta Maggiore, per renitenza alla leva della RSI, come prescritto dai bandi di Graziani. Era il 26 dicembre 1943. A nulla valsero le proteste e le suppliche della gente del Pigneto e di sua madre, immediatamente accorsa. Il 28 dicembre fu internato a Regina Coeli da dove il 4 gennaio 1944, su provvedimento della Questura, partì per i campi di concentramento in Germania. Fu registrato con la matricola 42163 al KL Mathausen il 13 gennaio 1944. Indebolito, malato, fu trasferito al Castello di Hartheim dove l’efficiente e inumana macchina nazista effettuava il “trattamento speciale riservato ai detenuti malati e deboli”.
Il 5 giugno 1944 venne assassinato per “fine trattamento”.
Il giorno precedente gli Alleati erano entrati nella sua Roma.